Tra la seconda metà degli anni '60 e la prima della successiva decade, la musica nera subì un'incredibile diffusione che rese internazionalmente noti personaggi eclettici come Miles Davis o James Brown, fino ad allora esclusivamente relegati ad un pubblico di nicchia e di pochi e volenterosi appassionati. Les McCann fa parte di quella scia di jazzisti e soul-singers che raggiunse il massimo successo proprio nel periodo della cosiddetta "Blaxploitation", pubblicando opere d'avanguardia e non convenzionali che contribuirono a cambiare per sempre il volto della musica afroamericana. Les firma nel 1968 un contratto con la gloriosa Atlantic Records, e riceve ben presto fama e consensi per "Swiss Movement", live registrato al festival di Montreaux con Eddie Harris, altro musicista "atipico" dedito, in quegli anni, a suggestivi e riuscitissimi crossover di Jazz e Funk. Ma sono gli anni '70 a rendere Les McCann un artista apprezzato anche in studio, grazie ad opere sperimentali a raffinate come "Layers" e, appunto, questo "Invitation To Openness", targato 1972.

"Invitation To Openness" è senza dubbio l'album più psichedelico del compositore e musicista del Kentucky, e si struttura come un'unica infinita suite, divisa in tre parti (a: "The Lovers"; b: "Beaux J. Poo Poo"; c: "Poo Pye McGoochie (And His Friends)"), in cui viene sfruttata appieno la caratteristica prevalente del Jazz: l'improvvisazione. Il disco è infatti registrato in presa diretta, senza alcun accordo con i musicisti (una ventina circa) su quello che si sarebbe suonato, lasciando ampio spazio alla creatività ed inventiva di ognuno.

Sarebbe semplicemente riduttivo parlare delle singole tracce, "Invitation To Openness" scorre in un unico, frenetico flusso, tra drumming funk sostenuti, deliri dal vago sapore lisergico e massicci utilizzi di Moog e sintetizzatori (caratteristica prevalente del "McCann-sound", quasi un unicum nella storia del Jazz...), tutti elementi che favoriscono la piena riuscita del tutto, un tutto che si ha voglia di ascoltare più e più volte, fino a cogliere il più impercettibile passaggio tra i vissuti solchi del vinile. Certo le orecchie più attente potranno notare delle somiglianze con il Miles Davis di "A Silent Way", ma forse è stato proprio questo il grande pregio di un personaggio come Les McCann: riprendere quel concetto di Jazz "elettrico e modale", portandolo verso altre direzioni più vicine al Funk, in ogni caso inesplorate. Ci sarà riuscito? Suonano eloquenti le parole dello stesso Davis dopo aver ascoltato il disco: Les, you're a bad motherfucker.... E se è lui a dirlo, come non fidarsi?

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