Perlopiù cacofonie, ma se volete produco anche escrementi meno confortanti. Un’illogica incazzatura e un bisogno di rincitrullimento senza precedenti mi scava laggiù, nell’incavo delle budella. Sono stanco e illogicamente incazzato, sì, e non chiedetemi perdio né il chi né il come né il perché né il percome né il quando e menchemmeno il contesto storico-socio-culturale, solito pretesto per sguazzare nel paratestuale e nel metasemantico. Dirà qualcuno: protesto, sei il solito pretesco protervo, proteso a pneumatizzarti l’ego, ecco. Che si fotta costui insieme all’armonia al contrappunto al contrappeso al contrappasso e al buon senso. Il bello e l’arte con le iniziali maiuscole, i degustatori disgustati da poltrona di prodotti artistici recensiti da ondarock con settevirgolacinque, che non disdegnano di stilare classifiche, lamentare dazi doganali e seguire comparsate della domenica di rockstar imbolsite e imbalsamate, quelli d’altronde si son già fottuti da sé medesimi. Il rumore, di nient’altro che di rumore abbisogna il procrastinatore. Roba vecchia ammuffita, certo, da radicalchic alla ricerca di musica estrema e scioccante, da etichette indipendenti moleskine e Velvet Undergroung post-grunge avant-noise, che a pranzo si sorbiscono un ruffianissimo cooljazz digestivo al bistrot di fiducia, tra un tagliere misto di formaggi e una degustazione di risotti, da revisionismo storico e band influenti, roba che ci campi coi trafiletti delle riviste-web alternative. Bootleg Underground anti-sistema, nippo-anarcho-punk ante litteram. Insomma una merda, ma una merda che funziona una tantum, come una lavanda gastrica per le coclee auricolari.

Alla malora.

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