Quello che mi ha sempre colpito di Lester Bangs, oltre che la sua ironia e il suo essere brillante a proprio modo e in una maniera sicuramente singolare, persino eccentrica, è che nonostante egli potesse apparire attraverso i suoi scritti, una persona sicura di sé e tanto da emettere dei giudizi e dare dei voti a dei dischi oppure a delle persone, egli era in verità una persona carica di umane contraddizioni. Una caratteristica che faceva di lui una persona per forza curiosa e allo stesso modo estremamente critica. Nel senso che cercava di andare sempre a fondo in ogni sua disamina e analisi. Lui non ti raccontava un disco limitandosi a farne una recensione e neppure si lasciava travolgere da considerazioni di tipo emozionale. Lui voleva capire. E quello che scriveva erano tutte le sue considerazioni e il suo intero processo mentale, ora contorto e ora lineare, ma niente altro che il suo processo mentale di elaborazione e rielaborazione.
Il risultato, ci sono per fortuna delle testimonianze scritte e pure tradotte in lingua italiana, è uno stile di scrittura e analisi personalissimo e non potrebbe essere altrimenti. Perché è inevitabile che ogni processo di analisi critica alla fine dovesse per forza passare da quelle che erano le sue considerazioni.
I suoi battibecchi con Lou Reed sono passati alla storia. Lui amava e odiava allo stesso tempo Lou e così come la rockstar per eccellenza doveva amare e odiare se stesso e Lester questo lo aveva capito e probabilmente lo aveva anche sentito emotivamente e poi provava a raccontarcelo per iscritto e forse ci riusciva e forse no. Ma sicuramente ci faceva capire che cosa pensava in quella sua cascata di parole e di pensieri collegati tutti tra di loro in una maniera che più che logica definirei ossessiva e persino maniacale. Tutte cose che poi andavano a costituire un suo immaginario ideale. Un mondo dove tutte le cose erano collegate tra di loro. Il suo interesse per le riviste più che per la letteratura, quindi la volontà e la necessità di dover essere sempre sul pezzo, voler sempre sapere tutto quello che succedeva; la sua passione viscerale per il jazz e soprattutto il rock and roll e la garage music, gli albori del punk e quella fatale attrazione nei confronti del rumore. Jad Fair e i suoi Half Japanese, Yoko Ono, Metal Machine Music, i Blue Cheer, i DNA. Ovviamente, e come avrebbe potuto essere altrimenti, Iggy Pop e gli Stooges.
Lester Bangs scriveva recensioni e articoli di musica perché data la velocità dei suoi processi mentali, non riusciva a scrivere di altro. Tutto quello che pensava oppure che faceva, lui doveva buttarlo fuori subito e possibilmente per iscritto, come se questo processo fosse l'unica via in qualche modo per riconoscersi e ritrovarsi. Anzi. Trovarsi. Definire se stesso.
Lavorava da anni a un romanzo che non portò mai a termine e che in buona sostanza forse neppure cominciò mai e questo anche perché morì molto giovane e comunque probabilmente in una maniera tanto inaspettata quanto drammaticamente eccessiva e frenetica come la sua stessa voglia di fare e di esprimersi che quasi non riusciva a tener a bada. Aveva soli 33 anni, che è praticamente la stessa età che ho io adesso (anno più, anno meno) e tutto quello che aveva fatto nel corso della sua vita forse eta stato cercare di capire se stesso. Magari pensando di non esserci mai riuscito e forse questo anche perché non rileggeva neanche le stesse cose che scriveva o comunque senza riuscire a essere in qualche modo così analitico ma allo stesso tempo
'Jook Savages On the Brazos' nacque in una maniera casuale oppure no. La storia vuole che Lester incontrò questa punk band del Texas, i Delinquents appunto, e gli fece leggere alcuni dei testi che aveva scritto. Ma non sappiamo se e quanto ci avesse lavorato su. Da una parte mi viene da pensare che non avrebbe mai registrato qualche cosa di cui non fosse stato pienamente convinto. Dall'altra mi domando se fosse mai riuscito a scrivere nel tempo qualche cosa che potesse convincerlo pienamente. Quindi chi lo sa come andarono esattamente le cose. Sicuro vi fu quella che si potrebbe definire una alchimia particolare, qualche cosa di irripetibile e non stupisce date tutte le premesse, che il disco fu registrato in sole sedici ore.
Siamo all'inizio degli anni ottanta. Lester è stato anche in Inghilterra e è rimasto colpito da quello che ha ascoltato ma soprattutto da quello che ha visto. Questo disco non può chiaramente essere per questo stato concepito solo per essere qualche cosa da ascoltare. Non secondo Lester almeno, che in quelle sedici ore con i Delinquents riesce o comunque prova a fare lo stesso che con il contenuto dei suoi articoli e delle sue recensioni.
Il disco è quello che si potrebbe definire un episodio fulminante quanto per forza in qualche modo minore della storia del rock'n'roll. Un compendio del pensiero di Lester Bangs in bilico tra raziocinio e volontà espressiva. Uscito su Live Wire, il disco è chiaramente influenzato da quelle che possono essere le sonorità punk della grande onda britannica ma più che queste influenze, sono evidenti i rimandi a un certo psycho-blues di marca Richard Hell e Stooges e lo spirito garage di band che egli considerava fondamentali come i Troggs oppure i Seeds. Pervaso da un nichilismo di fondo ('Life Is Not Worth Living, But Suicide's a Waste of Time') e la ironia tipica del personaggio, e come potrebbe essere altrimenti, nel disco si alternano tracce fulminanti come 'Nuclear War' o 'I'm In Love With My Walls', 'Give Up The Ghost' a blues paranoici e elettrici come quello di 'Kill Him Again', 'Day of the Dead' e rimandi a Neil Young e sonorità tipicamente Made in USA come 'Legless Bird' e 'Grandma's House'.
La canzone che probabilmente più di tutte costituisce un simbolo e un manifesto del pensiero di Lester è senza dubbio, 'I Just Want to Be a Movie Star'. Il testo di questa canzone, accompagnato da una chitarra che stride come le ruote di un tram sui binari vecchi e logori della strada, sono le parole di una persona che ha cavalcato il mito. Dentro ci sono il mito di Jack Kerouac e quello di Neal Cassady che muore assiderato mentre cammina tutto solo senza meta attraverso gli Stati Uniti d'America, ci sono Hunter Thompson e la sua scrittura visionaria e rivoluzionaria, ci sono dentro il rock and roll e i fumi dell'alcol e delle droghe, come se questi potessero in qualche modo dare sollievo e risolvere le nostre pene e i nostri problemi, c'è dentro quelli che sono i sogni e le ambizioni dell'uomo comune. L'uomo del bar, quello lì che si siede e riesce a entrare in contatto e in comunione più facilmente con degli sconosciuti che con i suoi stessi familiari. Ci sono dentro tutte le nostre miserie e i nostri fallimenti e quelli che sono i nostri sogni irraggiungibili.
Lester Bangs non era un semplice appassionato di musica e non aveva nessuna finalità enciclopedica oppure didascalica. Lui cercava attraverso gli altri di capire qualche cosa su se stesso e nelle miserie degli altri come nelle contraddizioni della vita delle rockstar, lui si specchiava e cercava di trovare se stesso oppure e forse qualche volta ci riusciva, forse qualche altra volta no. Forse qualche volta, semplicemente, quello che vedeva non gli piaceva e gli faceva storcere il naso. Ma la sua curiosità e la sua voglia di sapere erano troppe e troppo grandi.
Non fu vero del resto che Ulisse morì nel tentativo di valicare le colonne d'Ercole invece che ritornare a Itaca. Questo fu Lester Bangs, che brillava di luce propria e che lo sapeva oppure no, sicuramente questo non lo aveva mai scritto. Allora e senza nessuna pretesa di grandeur, ho provato a farlo io al posto suo.
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