Frugando nella mia pleistocenica libreria mi capita tra le mani questa Guida ragionevole al frastuono più atroce di Lester Bangs, comprata a metà dello scorso decennio, quando Mininum fax era un editore coraggioso che pubblicava libri extrasistema, oltre volenterosi nostrani giovanotti diconsi Lagioia, Raimo, Cognetti ed altri dimenticabili. Prefazione scritta da Wu Ming 1, tanto per capirci, per un’operazione sine dubio lodevole, se non altro perché ha consentito a tutti i compatrioti millantanti conoscenze bangsiane di leggerlo veramente. Seppur diventato di moda dopo il film Almost Famous, in cui il suo personaggio compare in una scena memorabile, almeno per la battuta al protagonista “peccato che ti sei perso il rock”, fino ad allora i suoi scritti avevano fatto sporadiche apparizioni sul suolo italico. E non c’è manco da stupirsi, troppo maudit per essere tradotto sulle gazzette nazionali, troppo poco allineato per un sistema di giornalai-editori in mano a piduisti fiancheggiatori di assassini di stato. Intanto in America era già salito da tempo nell’empireo delle star del giornalismo e della critica rock, ben prima della sua morte precoce avvenuta nel 1982. Seppure con molti cliché, tra cui quello di essere inquadrato nel cd genere gonzo (equivocando il fatto che lui stesso si definisse qualcosa tipo un cazzaro) e più in generale nel filone letteratura della beat generation.
Vero che dichiarò in gioventù di essersi ispirato a Jack Kerouac (di cui scrisse pure il necrologio) e William Burroughs, ma a mio parere in questo caso l’allievo supera in scioltezza i sopravvalutati “maestri” (ad esempio consiglio la lettura di Big Sur come infallibile sostitutivo naturale di qualunque anestetico). La verve narrativa di Bangs se la scordano i suddetti scribacchini beatnik, e che importa se non ha mai scritto un romanzo. Anzi, sapete che vi dico?, questa raccolta può essere tranquillamente letta come un romanzo, un romanzo in forma di recensioni, un romanzo dove il protagonista, con la scusa di parlare delle sue band, dischi e concerti e quant’altro di musica, narra di come tutto ciò lo attraversi e sia filtrato attraverso le sue esperienze ed il suo modo di prendere la vita.
Un egocentrico, come tutti noi, riempie pagine e pagine dove tutto è una scusa per parlare di se stesso, con una scrittura apparentemente riconducibile al genere autofiction, dove il narratore diventa il protagonista. Circondato da tutte quelle star della musica, in mezzo a tutta quella gente di talento, Bangs prende per sé la parte del mediocre insignificante (tranne quando si proclama il miglior scrittore del mondo) e descrive le proprie esperienze sono quelle di un nerd ante litteram, come fossero una nullità al confronto alla sfavillante vita delle sue star. Ma al tempo stesso questo diventa un’arma potentissima per scoprire le degenerazioni di un sistema che esalta l’artista di successo e lo mercifica al di là della sua musica, conducendolo ad una progressiva dissociazione dalla realtà.
Lester Bangs riconosce parecchi nemici, ma il primo di tutti è l’incensazione industriale del divo, dove la celebrità, la “rockstar” finisce per prevalere sulla sua stessa musica. Ed ecco allora andarci giù piatto contro i vari Stones, Led Zeppelin, Elvis, Bowie e prima ancora Lou Reed, da lui tanto osannato con i Velvet Underground ma anche descritto senza pietà nell’accozzaglia di cui si circonda (e quell’anima di Lou Reed inzuppata in una latrina provò a vendicarsi dichiarando che erano anni che Lester non scriveva più nulla d’interessante).
Ed eccolo smontare il mito del grande artista come divo, ripetendo “una rockstar è solo una persona”. Ed eccolo esaltare tutti gli artisti che sfuggono a questa dittatura. Ed eccolo stupirsi per le maniere friendly dei Clash degli esordi verso i loro fan, seguendoli nei loro concerti in Britain nel 1977 e scrivendo:
“quanto sono vicini alla realizzazione di tutte le speranze che abbiamo sempre avuto sul rock come sogno utopico: perché se il rock è davvero la forma d’arte democratica, allora la democrazia bisogna cominciarla a casa propria, bisogna abbattere quei muri eterni e rivoltanti tra artisti e pubblico, l’elitarismo deve finire, bisogna umanizzare i “divi”, smitizzarli e bisogna trattare il pubblico con più rispetto. Altrimenti è tutta una truffa, una rapina, e la musica diventa una cosa morta, come ora è quella degli Stones e dei Led Zeppelin”.
Dopo aver un attimo primo avvertito:
“ti garantisco che il modo in cu i Clash trattano i loro fan è talmente fuori dalla norma di quei rapporti (degli altri divi nda) da essere del tutto rivoluzionario. La maggior parte dei divi rock sono porci maledetti che hanno il solito esercito di malavitosi corpulenti assoldati per tenergli lontani i fan a tutti i costi, con l’eccezione dell’esclusivo contingente di fortunate(?) che forse si degneranno di far salire in camera…E’ una cosa marcia fino al midollo e stentavo a credere che qualsiasi gruppo, e a maggior ragione un gruppo musicalmente brutale come i Clash, potesse discostarsi tanto da quella norma fetente.”
E’ curioso che Lester Bangs dichiarasse di volersi ritirare in Messico per scrivere il suo romanzo, e che avesse in progetto di pubblicare vari altri libri (seleziono alcuni titoli: Tutti i miei amici sono eremiti, Le donne stanno sopra: dieci modelli post-femministi per gli anni Ottanta, Si può vivere da miliardari senza avere un soldo: io lo faccio sempre e questo libro spiega come), mentre il realtà già il corpo dei suoi scritti è un fantastico libro-romanzo, come dicevo prima. Così potente da farlo prevalere sulle band ed i dischi che dovevano essere il soggetto dei suoi scritti. Per dire, ci si ricorderà più degli Stooges o di MC5 o di Lester Bangs? E sospetto che anche la fama di Lou Reed, con il suo du -dudù- du – duddudu - dù, possa essere oscurata in futuro da quella del suo aedo.
Le pagine esilaranti sono innumerevoli, tra cui citerei la presa per il deretano di Barry White, colossale come il cantante [ascoltando la voce melliflua e stillante sesso di Barry, vien da pensare che quell’uomo sia pericoloso; in ogni caso non c’è alcun dubbio che otterrà quello che va cercando], e le cronache blues dei suoi tristi capodanni [l’ultimo dell’anno è il bidone più grande, perché usciamo tutti pieni di aspettative e ci sbronziamo come cammelli per riuscire a sopportare di stare con gli altri, perché abbiamo passato i primi freddi invernali immergendoci sempre più a fondo nella Guida tv ed ora dovremmo genuinamente far baldoria in prossimità di questi rivoltanti grumi di umanità..].
Lester Bangs è vivo e lotta insieme a noi, specie da queste parti.
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