Il libro.
Si tratta di un libro che analizza le c.d. "proprietà terapeutiche" della marijuana per la cura di svariate malattie, evidenziando come i principi attivi della sostanza non siano dannosi per il corpo.
C'è dunque una critica al regime normativo di vari stati che ne vietano non solo l'utilizzo a scopi terapeutici, ma anche il libero commercio, demonizzando una sostanza di chiara utilità.
Prefazione di Luigi Manconi.
Separiamo le opinioni dai fatti (il commento di PDL):
"Quali vie di fronte alla droga?"
Uno dei temi più caldi e scottanti della vita contemporanea, su cui molti mi hanno chiesto privatamente di scrivere, è quello delle droghe e della loro diffusione nella società. Cannabis, crack, eroina, hashish, cocaina, speedball, oppio, anfetamine, assenzio, ketamina ed erbe varie danneggiano, secondo la medicina, i corpi, e, secondo la psicologia maggiormente accreditata, le anime, obnubilandole e determinando, spesse volte per sempre, la perdita delle facoltà mentali dei consumatori.
La piaga derivante è davvero notevole, e ci impegna non soltanto come singoli, ma anche come collettività, visto che non possiamo astenerci dal prestare delle cure per i tossicodipendenti, e, nella cruda sostanza, di sostenere i costi derivanti dal consumo e diffusione di questa merce, oltre che della fidelizzazione dei relativi consumatori, per non dire dei "reati-mezzo" funzionali all'acquisto di droga (furti, rapine, prostituzione).
Consumatori che, va detto, sono diffusi presso varie fasce della popolazione, non solo presso i centri sociali ma anche presso ambienti più raffinati, colti o socialmente ben inseriti; assieme, come chiaro, agli spacciatori, variamente legati alla criminalità organizzata (è infatti noto come lo spacciatore di quartiere si appoggi allo spacciatore di città che a propria volta, salendo e risalendo ab imis, ci porta fino ai Narcotrafficanti del Sudamerica o dell'Asia centrale, passando ovviamente per le mafie italiane: e su questo punto mi fanno pensare gli spinellati del centro sociale vicino a casa mia che fanno in sit in per Saviano portando indirettamente soldi ai clan che lo scrittore combatte).
La rilevanza del problema appare talmente evidente da non imporre ulteriori lungaggini, mentre è interessante, anche per l'utente "medio" del sito, approfondire le reazioni della politica al tema. Due le tesi fondamentali, anche se, ovviamente, semplifico un poco la questione: proibizionismo e antiproibizionismo.
I proibizionisti, solitamente moderati o conservatori, intendono nella sostanza disincentivare il consumo di ogni tipo di droga sulla base di un rifiuto a priori dell'uso della sostanza, senza troppe distinzioni (essendo del resto unica la provenienza criminale) mediante divieti e sanzioni molto rigide, in parte per i consumatori, e soprattutto per gli spacciatori ed i produttori: tesi geometricamente chiara ed invidiabile nella sua logica stringente; poco efficace tuttavia, come dimostra la Storia, anche riguardo all'antiproibizionismo degli anni '20 negli States.
Per essere seriamente antiproibizionisti, bisognerebbe infatti reprimere con durezza il fenomeno, e le Forze di Polizia non sono sempre in grado, per carenza di mezzi, difetti di prospettiva culturale, rischi di corruzione, ad agire in tal senso (pensate a come i gangster, ne "Il Padrino", corrompevano i poliziotti proibizionisti).
A ciò si aggiunga come la politica antiproibizionista, per funzionare efficacemente, debba essere globale, e non "locale" come avviene oggi giorno: non posso certo vietare ad un ragazzo italiano di drogarsi, quando con pochi soldi può volare fino ad Amsterdam e farlo senza limiti, perché la mia politica statale si rivela del tutto vuota, apparente, inutile a raggiungere gli scopi prefissi.
Restano dunque le tesi antiproibizioniste, alle quali va ascritto anche questo libro di *****, dove vengono sinteticamente profilate le differenze fra le varie droghe, e viene - seppure arbitrariamente, tracciata una distinzione fra droghe leggere e pesanti, su base qualitativa, senza peraltro considerare come l'ambiente ed il milieu in cui si consumano droghe leggere sia il medesimo in cui si possono consumare anche quelle pesanti.
Le tesi antiproibizioniste sono delle tesi liberali (anche se, curiosamente, cavalcate dalla sinistra estrema) secondo le quali, entro certi limiti, ognuno è libero di far come gli pare, per cui è penalmente illecita la produzione e lo spaccio di certe droghe, anche se non di tutte (es. proibisco l'eroina, ma non l'hashish).
Si dice che, così facendo, si eliminano delle ipocrisie; si tagliano le gambe alla criminalità che smercia queste sostanze, si tenta un'alternativa rispetto all'inefficiente antiproibizionismo, si responsabilizza l'individuo come consumatore di sostanze psicotrope.
Si tratta di tesi a volte contraddittorie: non esistono ad esempio studi che permettano di discriminare seriamente fra droga e droga, determinando il confine esatto di quella "leggera" da quella "pesante", in rapporto al consumo e fabbisogno dell'organismo di ciascuno; non appare credibile che la invocata liberalizzazione blocchi gli affari della malavita, essendo arcinoto il commercio abusivo di sostanze di libero consumo, come le sigarette immesse comunque in circuiti paralleli a quelli dello smercio ufficiale; sono, inoltre, tesi "liberali" che non traggono tuttavia le conseguenze logiche delle loro premesse: ovvero droga libera, ma allora anche Stato libero dalle prestazioni sanitarie a favore di tossici e affini, che non dovrebbero più avere diritto all'assistenza medica gratuita per le loro patologie; sono tesi che a volte mascherano, o sottovalutano in buona fede, l'interesse economico che è dietro l'antiproibizionismo, ovvero quello degli stessi produttori di droga, che, una volta liberalizzato l'affare, potrebbero eventualmente riemergere, attraverso società di comodo o controllate, come produttori delle medesime, il che diventa, in pratica, un grosso favore al narcotraffico e alla sua economia.
E contraddittorio è anche questo libro: laddove, per giustificare la liberalizzazione del consumo di marijuana, ne specifica le proprietà terapeutiche. Il che, ad essere vero, non implica che la sostanza debba essere utilizzata al di fuori delle terapie mediche prescritte a livello ospedaliero: altrimenti, dovremmo liberalizzare ogni tipo di farmaco. Questo libro, nella sostanza, ci dice che la mariujana è un farmaco, ma qualificare in questi termini una sostanza non è, né deve essere, premessa per la relativa liberalizzazione. Semmai, il contrario, ovvero per la sua somministrazione sotto controllo medico.
Resta il fatto che, in uno Stato non più etico, le tesi antiproibizioniste risultano per essere tesi (contraddittorie ma) di buon arrendevole senso residuo, non dissimilmente da quanto avvenuto in passato per l'aborto. Visto che proibirlo crea più danni che renderlo ragionevolmente libero, rendiamolo libero.
Quindi, ragionevolmente, possono considerarsi prevalenti le tesi antiproibizioniste.
Resta una mia tesi finale, che prospetto all'utenza, chiamata ovviamente a dire la propria: in realtà il consumo di droghe è inizialmente incentivato, più che dalla loro capacità psicotropa, dal fatto che siano proibite, e pertanto dal flavour di proibito che si prova nell'atteggiarsi da fighetti alternativi mentre si sfumazza in determinati ambienti, o si inalano sostanze in cert'altri; liberalizzando le droghe leggere, o certe droghe soltanto, il senso del proibito spingerebbe quindi i giovani all'immediato diretto consumo di droghe pesanti e diavolerie varie (colla, benzina), spostando molto in là la "sfera del proibito", colonna d'Ercole che la mente umana vuol sempre superare, comportando nel lungo periodo problemi di evidente gravità.
Penso, dunque, che una tesi mediana, e di adeguato compromesso, sia quella di vietare astrattamente il consumo di tutte le droghe, in maniera tale da innalzare la abbassare la soglia del proibito, ma non reprimere, materialmente, i giovani che ne facciano saltuariamente consumo, chiedendo alle nostre Forze dell'Ordine di chiudere un occhio nei loro confronti, concentrandosi magari sulla sola repressione del narcotraffico, salvo qualche punizione esemplare e sempre nel rispetto delle garanzie. Allo stesso modo, si potrebbe imporre un'assicurazione sanitaria obbligatoria a carico di tutti i soggetti che dichiarano di far uso di droghe, leggere o pesanti, o delle famiglie che abbiano figli minorenni in odore di centri sociali o droga party altolocati, in maniera tale da non gravare eccessivamente sulle casse dello Stato - ovvero di tutti - quando il consumo di droga determina patologie di vario genere.
Il tema è ovviamente delicato, io mi limito a suggerire un approccio laico ed anti-ideologico. Ovvio che le soluzioni possono essere disparate: agli utenti il compito di riflettervi e meditarci, lucidamente, sopra, in maniera corretta e - possibilmente - educata.
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