I Level 42 sono uno di quei gruppi che fanno in modo che il panorama musicale degli anni 80 non sia considerato una schifezza. Si tratta di quattro musicisti abilissimi (cinque se consideriamo "l'ospite fisso" Wally Badarou) con un groove magnifico e una capacità di scrivere brani molto complicati, ma allo stesso tempo orecchiabili. Molti se li ricordano per "Lessons In Love", il loro pezzo più famoso, nonché uno dei peggiori, che fece molto successo anche qui in Italia. In realtà i Level 42 vanno ben oltre una semplice canzoncina pop orecchiabile.
"Standing In The Light" è una dimostrazione lampante di quanto affermo. Fa parte del periodo d'oro dei Level 42, ovvero quello dei primi dischi, quando il gruppo era più orientato sul funky che sul pop (anche se, ci tengo a precisarlo, anche gli album successivi non sono niente male).
La formazione dell'album è la seguente: Mark King (considerato il re dello slap, ma in realtà abilissimo anche nel pizzicato) al basso e alla voce, Mike Lindup alle tastiere e alla voce, Boon Gould alla chitarra e Philip Gould (suo fratello) alla batteria. In più ci sono anche il già citato Badarou alle tastiere e uno dei percussionisti più richiesti degli anni 80, Paulinho DaCosta (già con Lee Ritenour e Carlos Santana, fra gli altri) , a dare un valido sostegno al gruppo. Adesso di questi restano solo King e Lindup, ma i Level 42 restano lo stesso un grande gruppo.
Per quanto riguarda il disco, sostanzialmente la musica suonata è pop, ma non è pop classico, bensì orientato sul funky e sulla fusion pura.
Il primo pezzo, "Micro-Kid", è il classico esempio che un brano orecchiabile e canticchiabile non è per forza brutto, anzi oltre che una ritmica coinvolgente e trascinante contiene una buona prova chitarristica di Boon Gould, nonché un solidissimo ritmo di batteria solidissimo di Philip. Lo stesso dicasi per la seguente "The Sun Goes Down (Living It Up)", che dal vivo sarà valorizzata da uno splendido arrangiamento fusion con un inserto strumentale non inserito nel disco in studio. L'ottima "Out Of Sight (Out Of Mind)" ricorda i Toto dei tempi d'oro, pur contenendo un bridge abbastanza stupido. Non convince totalmente la seguente "Dance On Heavy Water" (curioso notare come Mark King invece di cantare "Water" nel disco canta "Weather"), che ha un ottimo groove e una buona parte vocale ma anche un odiosissimo ritornello ("Take a chance and dance/It's a chance") ripetuto fino alla nausea. Semplicemente micidiale la linea di basso di "A Pharaoh's Dream (Of Endless Time)", uno dei pezzi in cui la presenza di King si nota di più. In effetti se non fosse per il sound tipicamente anni 80 questo pezzo potrebbe essere anche considerato quasi progressive, con i suoi stacchi strumentali e virtuosismi da brivido. Non a caso nel brano in questione è anche presente un assolo di sassofono suonato dal bravo Andrew Woolfolk (già con gli Earth, Wind And Fire).
La title track del disco, nonostante il titolo, è abbastanza cupa, ma non per questo meno bella di altri pezzi dell'album. Anzi, il giro di basso di questo brano, è talmente bello e misterioso che andrebbe considerato a mio parere, tra le linee migliori dell'intera discografia. Il disco è chiuso da tre brani semplicemente perfetti, i migliori del disco e probabilmente tra i capolavori dei Level 42. "I Want Eyes" è una dolce ballata, ma allo stesso tempo con parti un po' aggressive, con un assolo di Mike Lindup veramente splendido, oltre che, come al solito, una linea di basso di King da ricordare! A proposito di Lindup, è lui l'autore del pezzo seguente, "People", tipico esempio di british-pop misto con qualche ingrediente funky. Un pezzo bellissimo, molto coinvolgente e tranquillo, con un assolo di basso di King che ricorda molto il suo mentore Stanley Clarke. Il messaggio del pezzo è ottimistico e inquietante allo stesso tempo ("Find The Time and You'll realise/life isn't too much time and trouble"). Infine chiude il disco la stupenda "The Machine Stops" (forse la stessa "World Machine" di cui parleranno più avanti?), un brano tipicamente funky con un, ancora una volta, basso da brividi.
Sicuramente avrete notato che mi sono soffermato di più su Mark King e Mike Lindup, i leader del gruppo, che su gli altri. Il motivo è semplice: la parte da leone sul disco ce l'hanno loro. Non per questo i fratelli Gould sono meno importanti, anzi: Philip Gould suona in maniera a dir poco perfetta, discreto, mai invadente ma con qualche rullata capace di far saltare sulla sedia. Boon Gould, invece, in studio è sempre stato un po' freddino e in alcuni pezzi ("The Machine Stops") sparisce quasi completamente. In realtà i bootlegs del periodo dimostrano che anche Boon è un musicista eccezionale, capace di dare moltissimo.
Disco consigliatissimo ai bassisti, ma non solo. Se odiate gli anni 80, questo disco e questo gruppo vi faranno in parte cambiare idea. Da avere!
Carico i commenti... con calma