La musica pop degli anni ottanta ha prodotto moltissima paccottiglia invereconda, compresi noiosissimi e insopportabili fenomeni di massa quali ad esempio gli stonati Duran Duran e l’afono Paul Young (chi?), ma anche un certo numero di perle (britanniche) assolutamente lucenti: Prefab Sprout, Tears for Fears, Talk Talk… e Level 42.

Situazione veramente anomala per quest’ultima band il cui nome, estrapolato dal noto best seller di Douglas Adams “Guida galattica per autostoppisti”, è quanto mai adeguato: la loro musica infatti è fruibile e godibile a diversi… livelli, da quello popolar/facilone delle canzoni usa e getta al punch scuoti chiappe delle discoteche fino a quello consapevole, analitico e magari un poco snob dei musicofili e musicisti. E’ inconfutabile che il quartetto fosse formato da musicisti di alto livello, un paio di loro addirittura fuoriclasse e mi riferisco al batterista Phil Gould ed al leader carismatico del gruppo, il biondo e tarchiato bassista/cantante Mark King.

L’estrema musicalità di Mark l’ha portato ad iniziare come batterista, acquisendo negli anni dell’adolescenza perfetto timing e dominio degli accenti… per poi trasferire il tutto sul basso, il nuovo strumento scelto (a diciannove anni) per esprimersi, aggiungendovi poco dopo anche il canto, visto che c’era. Il risultato è un bassista che suona con un groove micidiale, molto percussivo ma non invadente grazie ad un… anello di nastro isolante applicato al pollice destro, nel punto prevalentemente usato per pizzicare le corde, atto a smorzare gli acuti. Al contempo, eccoti un cantante caldo e rilassato, quasi un crooner, alle prese con linee melodiche estese, spesso banalotte, soprattutto ritmicamente del tutto indipendenti dalle trafficate evoluzioni sulle quattro corde. Per chi sa di musica e l’ha visto in azione, un connubio veramente difficile da mettere insieme e malgrado questo realizzato con naturalezza strabiliante. Studio? Applicazione feroce? Per niente… alla domanda: “Ma come fai a cantare e suonare contemporaneamente il basso in quel modo?” lui ha sempre risposto “Non lo so, per me è così dal primo giorno, non mi è mai costato alcuno sforzo!”.

Phil Gould purtroppo non è più il batterista dei Level 42 in questo disco: se n’è andato insieme al fratello, il chitarrista Rowland detto “Boon”, appena finite le registrazioni dell’album precedente “Running In The Family”. Tornerà negli anni novanta per un ulteriore, ultimo lavoro con la band. Il sostituto è di prima categoria: Gary Husband ha suonato, e suonerà in futuro, con tanta gente in campo jazz, rock, progressive…è anche più noto e stimato di Phil ma secondo me non lo vale. Lo stile di Phil è inimitabile, sciolto, ricco di dead notes e di tutti quei colpetti qui e là per il kit che non si percepiscono singolarmente ma fanno tanto groove e feeling. Husband al confronto appare rigido, specie sul charleston. “Staring At The Sun” soffre del cambio di batterista rispetto agli album che l’hanno preceduto, questa è la mia opinione.

La stessa cosa non succede, sempre a mio avviso, con il cambio di chitarrista: Boon Gould era un re dello stile throw away, come dicono gli anglosassoni, cioè trasandato, liquido, senza accenti. Il nuovo Alan Murphy è più ficcante, ha un suono più importante e sostenuto.

Di questo disco mi piacciono quattro brani: in ordine di apparizione il primo è "Take A Look”,  a merito di un accattivante ritornello. Il secondo è “Silence”, dominato dal tastierista Mike Lindup che compone musica e testo e se lo canta con la sua flautata voce, per una volta non impegnata nei caratteristici controcanti in falsetto al vocione baritonale di King, uno dei marchi di fabbrica della proposta Level 42.

La terza cosa che mi attizza è la sostanziosa “Man”, quasi sette minuti e mezzo di progressive/funky/fusion/pop messi verso la fine dell’album, dopo tante canzonette (ben fatte e suonate da dio, ma tali), con ispirati cambi di ritmo e di atmosfera, tastiere programmate con classe sopraffina dal “quinto uomo”, il produttore  Wally Badarou che dà veramente una grossa mano a Lindup in materia di timbri e settaggi.

L’ultima segnalazione è per lo strumentale di chiusura, il malinconico “Gresham Blues”, vero e proprio epitaffio musicale per il povero Alan Murphy, aggregatosi alla band quando il virus HIV era stato già da tempo diagnosticato nel suo organismo: se ne andrà presto purtroppo, l’anno successivo alla pubblicazione di quest’album (1988), ad appena trentasei anni. La chitarra competente ed espressiva di quest’ottimo esecutore (Kate Bush, Go West, Mike + The Mechanics le sue collaborazioni prima di quest’epilogo con i Level) esegue il suggestivo tema (composto da King) e le sue variazioni, spalleggiata dal sintetizzatore di Lindup e da un bellissimo sassofono, suonato da certo Krys Mach: un valente addio musicale ed umano, a chiusura di un lavoro virtuoso e leggero, troppo leggero per un gruppo dalle potenzialità enormi, ma troppo tendente verso la canzonetta nella seconda parte di carriera.

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