World Machine”, quinta fatica in studio dei Level 42, creò i presupposti per la rottura tra i fratelli Gould, Phil soprattutto, e Mark King (leader carismatico, oltre che bassista di prim’ordine).

Il sodalizio resse ancora nei due anni seguenti, tempo utile per raggiungere definitivamente la vetta con “Running In The Family”. Ma ormai il dado era tratto.

I fatti, di una semplicità comune a molte band: inclinazioni, aspirazioni e gusti differenti.

Nati come band di stampo fusion, con spruzzate jazz e inclinazioni funk, i Level 42 stavano lentamente ma inesorabilmente cedendo il passo al pop.

E se, dicevamo, il successore “Running In The Family” compie il balzo definitivo, “World Machine” fa solo la mossa.

Si prendano i due estremi del disco, aiuteranno a capire.

Tastando il polso ai fans, il brano più apprezzato dell’album pare essere “I Sleep On My Heart”. Considerazione che mi trova d’accordo. Brano complesso, poco radiofonico ma essenziale e caratteristico nel definire i tratti della band. Per contro, a lanciarli in America, fu “Somenthing About You”, melensa pseudo ballata senza pretese stilistiche e suonata decorosamente ma senza slanci o contorsioni.

Morale: dove sta il buff ? O meglio: dove sta la verità ?

L’antefatto è che i Level sanno suonare, l’approccio agli strumenti è educato, superlativo nel caso di King, ma probabilmente era in corso una crisi d’identità.

Al tempo: non tutto il pop melodico va derubricato a mediocre. “Leaving me Now”, parere di chi vi scrive, è un brano sostanzioso, gradevole, assolutamente decoroso.

Ma chi si è identificato in “Love Meeting Love”, “Love Games”, “Turn It On”, che può pensare ?

E qui viene il bello: il fan, in quanto fan, se appagato dal pregresso, difficilmente molla la presa: ma diventa criticone, sbuffa, prende un non so che di distanza, e ci sta.

Comunque: l’album esce nel 1985 laddove King e Lindup prendono la decisione senza sottoporre ad interrogazione plenaria il resto della band e virano. Virano con grazia, con educazione, ma ammaliati dagli stadi, dai grandi palcoscenici, scelgono di abbandonare nicchia e spazi stretti.

Non saranno gli unici, in quell’era.

Fatta questa (lunga, e me ne scuso) dovuta premessa, va detto che l’album è meritevole, solido, fluido.

Discreta la title – track che apre il lavoro, vi sono picchi piacevoli (la già citata, malinconica “Leaving Me Now”, precursore dei 5 giorni di Zarrillo, “I Sleep On My Heart”, “Good Man In A Storm” e la strofa di “Lying Still”) ma anche episodi trascurabili com “It’s Not The Same For Us”.

“World Machine” è indispensabile per chi ama i Level 42, essenziale per chi vuole approcciarli, necessario per chi li ha scoperti recentemente.

Perché c’è tutto: il passato, il periodo contingente, la voglia di uscire dagli schemi, il compromesso.

E vi sono anche amnesie: brani che partono alla grande, ma poi cincischiano (accennavo a “Lying Still”).

Tempo due anni, dicevo, e i fratelli Gould, Phil e Boon, parolieri essenziali del progetto, oltre che batterista e chitarrista, saluteranno.

Il primo, cercherà un riavvicinamento nel 1994 in occasione delle sessioni di “Forever Now”, ma poco prima di partire per il tour, al rifiorire di vecchi dissapori, scenderà nuovamente dalla nave.

Il secondo, rimarrà in buoni rapporti tanto da occuparsi dei testi dell’album solista di King, nel 1998. Pochi mesi or sono, è stato rinvenuto privo di vita. Infarto. Aveva 64 anni.

Carico i commenti...  con calma