Certe cose ti rimangono dentro. Non importa quanto tempo sia passato, non importa che la musica che ascoltavi quando avevi 15 anni ora la senti con orecchie diverse. Non importa l'acqua passata sotto i ponti. Ci sono cose che, per quanto magari banali, ti rimangono dentro, incise a lettere di fuoco. Ogni nota, ogni parola. E scopri, mezza vita dopo, che ancora ti fanno emozionare e palpitare come X anni fa.
I Levellers, in Italia, non li ha mai cagati nessuno. Uhm, forse non rendo loro giustizia: sono stati cagati, ma da una sparuta minoranza. Mentre in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia c'è gente che si strappa le vesti per loro (sebbene un tempo vennero etichettati come "il gruppo sconosciuto più famoso d'Inghilterra"), qui sono sempre stati alla stregua di un segreto molto ben custodito. Troppo ben custodito. E non hanno attecchito, anche se insolitamente furono tra i gruppi meteora dell'allora VideoMusic, dove il video di "One Way" passava relativamente spesso, destando l'interesse di qualcuno.
L'origine del nome è confusa nell'ombra. Chiaramente ispirato alla corrente politica prima filo, poi anti-cromwelliana durante la rivoluzione inglese del XVII secolo, non è ben certo se sia una specie di tributo ai "fratelli maggiori" New Model Army (non a caso Justin Sullivan, agli esordi, si faceva chiamare Slade The Leveller) oppure una scelta piuttosto casuale. Fatto sta che i Levellers sono politicamente schierati, eccome, e per anni hanno appoggiato battaglie politiche per la maggior parte riguardanti gli ambienti dei travellers e degli squatters, dai cui in un modo o nell'altro l'intera band ha origine.
La loro musica, con l'onnipresente violino a lasciare un'impronta indelebile, è una specie di combat folk, vicino contemporaneamente ai Clash (English Civil War vi dice niente?) e a Billy Bragg. Le voci di Mark Chadwick e del qui nuovo acquisto Simon Friend si alternano e si intrecciano, una più morbida e l'altra più rabbiosa. E si barcamenano tra inni generazionali ("One Way", "The Riverflow"), ballate più strettamente folkeggianti ("The Boatman"), dichiarazioni d'amore alla vita da busker ("The Road") e canzoni di protesta ("Battle of the Beanfield"). Per di più, in onore del DIY, le loro copertine sono fatte in casa, sempre opera di Jeremy Cunningham, bassista del gruppo.
"Levelling the Land" è il loro secondo disco, datato 1991. Sincero, genuino, spassionato, senza pretese. Pervaso in ogni nota da entusiasmo giovanile e dalla convinzione della possibilità di cambiare le cose, elementi scemati inesorabilmente col tempo. Loro erano già attivi dal 1988, anche se pian piano si sono allontanati dalla matrice delle protest songs in senso stretto verso un approccio forse più radio-friendly. E ancora suonano e sfornano dischi e fanno tour. Coi capelli ingrigiti, coi figli, con le buzze di mille birre. E ancora mi fanno battere il cuore. E tanto.
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