Una promessa di O__O non è una promessa che rispecchia il suo nickname: non lascia troppo sbigottiti. Una promessa di O__O è una promessa vera e propria e viene sempre mantenuta. E così, quando prometto una recensione di Li Jianhong al fedele jdv666, io la compongo, non senza difficoltà.
Ci sono dei dischi che recensire in modo tecnico, formale e da critico musicale non ha alcun senso. Alla fine, certi dischi sono stati concepiti per essere goduti, senza darti possibilità di ragionarci sopra. Puntualmente, il mio masochismo mi porta a parlare quasi sempre di questo tipo di opere. Dischi dove è inutile nominare tracce, spiegarne il genere, dare indicazioni, stilare una striminzita biografia di chi c'è dietro all'operato. Certi dischi sono viaggi verso il non-ritorno, degli orgasmi o dei rigor mortis a seconda di come si veda il bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto.
Quindi bando alle ciance: lasciatemi vagare. Vagare come ho sempre fatto, d'altronde. E se per qualche motivo qualcuno mi legge ancora significa che non vago troppo o che il mio vagare qualcosa lo dice. Ecco, io adoro "Sang Sheng Shi" di Li Jianhong e, anche ora, è lì che gira nello stereo.E io, attento attento a captarne ogni suono e ogni momento per poter rendervi partecipi di quello che questo disco contiene. Potrei iniziare a parlare di come in Cina esista una florida culla dell'underground, del noise, del rumore puro, persino dell'indie rock. Di come questo paese-colosso sforni a ripetizione band e talenti liberi, folli, estremi, sperimentali e selvaggi. Nomi che, puntualmente, non arrivano da noi. Già non si dà molto peso agli artisti sperimentali occidentali e italiani (perché tutti sono lì a rincorrere le varie copie sbiadite e irritanti degli Afterhours quando abbiamo gli Zu e gli OvO?), figurati se dobbiamo pure importarli dalla Cina. Dal Giappone va anche bene, là hanno Merzbow... cioè... sticazzi. Ma dalla Cina?
Potrei farlo. Lo sto già facendo. Ma mi suonano come parole inutili. Perché qua non stiamo parlando di un disco che potrei iscrivere in un underground musicale, ma nemmeno nella carriera stessa del chitarrista (ho ascoltato altri suoi due album e "Sang Sheng Shi" sta proprio su un altro pianeta).
Ho bisogno di darmi delle coordinate. Quindi, concedetemelo, sgancio la bomba. Siete pronti? Va che poi ve ne pentite, eh? Eh, io vado, ma poi non dite che non vi avevo avvisato... Tre... Due... Uno... Zero: poco ma sicuro, questo è il miglior album noise che abbia mai ascoltato in tutto la mia vita (e ne ho ascoltati tanti).  
Cinquanta e passa minuti di improvvisazioni per chitarra elettrica. Non so cosa si sia fumato Li Jianhong prima di entrare in sala d'incisione, ma ciò che è sicuro è che il nostro beniamino sia riuscito nella straordinaria impresa in cui tutti (ovviamente il tutti prevede illustri eccezioni) i musicisti noise/improv falliscono, anche incidendo comunque ottimi dischi: non annoia, non si perde in lungaggini inutili (E STIAMO PARLANDO DI UNA TRACCIA SOLA DI CINQUANTA MINUTI) e, soprattutto, si fa riascoltare più di una volta.Per questo, nonostante la complessità e la natura "di nicchia" dell'opera, lo consiglio anche agli amanti del rock tradizionale: quando termina, ti danni. Non puoi credere che sia già finito e ne vorresti ancora, e ancora, e ancora.
Li Jianhong è un chitarrista eccelso: è secco, dritto al punto. Quando vuole osare e mettere alla prova l'ascoltatore non ci pensa due volte e lo fa e quando vuole autocontrollarsi non suona forzato. Non si masturba sulla sua bravura, non si perde in assoli incredibili, non sfoggia gratuitamente il suo talento. Violento e minuzioso, racconta ciò che deve raccontare, amplificandolo per sensazione. Anziché gettarsi nel delirio fine a sé stesso, Li Jianhong resta lì in bilico, tra ragione e follia, calmo come un funambolo professionista. Ecco il segreto di "Sang Sheng Shi": non punta tanto sul suono, sulla bellezza e la potenza della musica, ma sulla forza delle emozioni che questa musica può trasmettere. Non sente la necessità di essere cacofonico, irraggiungibile o criptico. Non ha bisogno di partire in quarta per dipingere con il sangue un mondo magnifico, sovrumano, oltre la natura.
Perché è così che suona. E altre immagini mi coinvolgono. Sarà che ho legato la mia vita al cinema, ma ogni volta che ascolto un disco l'immaginario visivo prende piede. Con tutta la musica cupa e opprimente che ascolto, la mia mente non può che riportare spesso a inferni di ogni specie. Qui no.Nonostante sia un disco d'improvvisazione noise-rock (e bello tosto, nonostante tutto), qui immagino un meraviglioso e crepuscolare paesaggio di montagna. Su di esso, si staglia un cielo scuro e denso. Ma sotto, l'erba è verde come se ci fosse il sole. E tu sei lì, sull'orlo del precipizio, con le braccia aperte a chiamare il vento. Ed è un vento che non scuote l'erba, non piega i fiori e non disturba le mucche, scuote solo te. E sei lì con l'anima sospesa tra la coscienza di un'apocalisse imminente e la più bella delle vite. 
Altre volte mi viene da associarlo ad un vorticoso orgasmo. Sei tu che abbracci il cosmo e ci fai sesso, abbandonando il tuo corpo e facendoti strada tra le stelle, lasciandoti andare in un viaggio astrale che non potrai raccontare a nessuno, perché nessuno ci crederà mai. 
E allora mentre scrivo questa recensione, che cosa devo fare? Chiudo gli occhi e abbandono la tastiera. Mi lascio andare e addio. Mi avete perso. E così mi dimentico di che genere sia questo disco e di chi l'abbia fatto. Questa chitarra messa lì a tracciare orizzonti e atmosfere mi ha travolto. Come quel vento.Su questa sedia c'è il mio corpo. Ma su quel precipizio ci sono io. 

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