La nuova uscita dei Liars è già anunciata in partenza come una delle migliori dell'anno, con i tre protagonisti ormai definitivamente approdati allo status di una delle maggiori realtà indipendenti del decennio. . . eppure. . . eppure qualcosa non quadra: la batteria è sempre più la colonna portante della poetica dei Liars. . e il fascino del drumming è indiscutibile, uno scheletro tribale con puntate più acute e marziali che non perde mai di vista il suo fine espressivo, mai sopra le righe eppure cosi assolutamente protagonista; non fosse altro che per le ritmiche il disco sarebbe un capolavoro. . . Ma, da una parte il disco pecca dello stesso difetto di tante uscite indipendenti: manca di epicità, non tanto nel senso strettamente musicale, quanto nei termini di un ambizione artistica che non va oltre "il disco di nicchia", non cerca il capolavoro, si ferma a una dimensione esistenziale senza mai cercare l'assoluto. Dall'altra è un album in cui i riferimenti, forse nascosti ma comunque inquadrabili, non vengono mai superati da una personalità veramente di spicco.
La No Wave e la tradizione newyorkese che a detta di alcuni tanto trasparirebbe nella loro musica, si ferma in realtà alle atmosfere cupe e sommesse, per altro mai particolarmente avvolgenti; spesso invece i Liars fanno un effetto che ricorda pericolosamente da vicino i Radiohead, ma lontani anni luce dall'ecletticità interpetativa del quintetto inglese. Le prime tre tracce del disco a voler essere riduttivi (ma neanche troppo) sembrerebbero riprodurre per tre volte "there there", mentre il resto, più radicale ed elettronico, sembra avere poca consapevolezza del propio percorso comunicativo. solo gli ultimi due pezzi, più "mantrici", hanno uno spessore armonico che non sembra comunque portato realmente a compimento...
"Drum's Not Dead" è un disco che lascia la sensazione di sperimentalismo poco espressivo e non molto definito, che raramente arriva da qualche parte che non sia già stata detta o che davvero affascini.
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