Torni a casa con il nuovo lavoro dei Liars. Sei lì che togli gli ultimi ostacoli che si pongono tra te e il vinile (quella plastica che non sai mai da che parte strappare) e intanto ti accorgi di quanto spartana sia la copertina dell’album. Sembra quasi una lapide. Speri che non sia di malaugurio: sai che sono loro, i Liars, non potrebbero tradirti. Direzioni accuratamente la puntina sulla prima traccia con molta cautela (di questi tempo un disco “vero” è diventato un lusso).

Parte il primo brano. “The exact Color of Doubt”: così titola l’incipit. L’atmosfera è rarefatta, si sentono dei synths molto distesi, la voce del gigante Andrew è pacata, fluttuante a tratti. Sembra di essere circondati da sonorità lunari; forse troppo “cosmiche” persino per loro. Allora, a quel punto ti ricordi, e ti viene da sorridere: “Pensate di esser così furbi? So che tra un batter d’occhio si sguinzaglieranno le chitarre e addio pathos siderale”. Errore. Forse ti stai ricordando di quando ascoltasti il loro ultimo lavoro (la traccia iniziale, “Scissor”, si sviluppava infatti in questo modo). Non aspettarti da questo “WIXIW” niente del genere.

Questo disco si discosta dalle due uscite precedenti per varie ragioni. Innanzitutto, cosa che risulta lampante, sono state rinforzate le parti elettroniche. In poche parole: non si abbandona del tutto la strumentazione abituale ma si prosegue con la sperimentazione tramite “nuove” alternative che possono richiedere, o meno, l’uso di una chitarra (o di una batteria) come si era fatto in passato. Nessuno gridi all’eresia. D’altronde, se si è seguito il gruppo nelle varie evoluzioni, non può che sembrare il comportamento abituale di questa band statunitense. Fare della continua sperimentazione la formula del loro progetto; in che forma questa si presenti ha un’importanza secondaria. Ma, a onor del vero, va anche ricordato che negli ultimi due album (l’omonimo e “Sisterworld”) si era un po’ limitata la verve iniziale, puntando forse di più su un’incisività e su un’impatto quasi fisico (le esibizioni live confermavano questa loro volontà). Dopo queste uscite più “dirette” “WIXIW” si assume il compito di riportare tutto al punto di partenza. Eppure, nel farlo, trasfigura la materia iniziale. Questo desiderio di riprendere l’atteggiamento dei primi dischi, come al ritorno da un viaggio, non può non tornare carico dell’esperienza accumulata.

Proprio per questo il nuovo materiale segna quasi un punto di svolta rispetto alla produzione passata. Più che un passo indietro, rispetto alla fisicità degli ultimi due dischi, sembra quasi una rincorsa volta a slanciarsi aldilà dei sentieri già battuti. Si cambia, ma si rimane, al contempo, sempre nell’ottica che aveva dato vita a lavori quali “They were wrong, so we drowned”. Ben venga questo cambiamento. Invece che crogiolarsi nel successo, questi ragazzi statunitensi hanno deciso di rimettersi in gioco. Fedeli all’atteggiamento che ne aveva fatto la fortuna.

Il disco, nello specifico, ha tratti che, seppur rimandano alla poetica del passato, si stagliano sotto nuove prospettive. Prospettive che non esisterebbero senza l’onnipresente sintetizzatore: quasi un leitmotiv dell’intero album (si provi a seguire la struttura della titletrack per averne una prova evidente). La sezione ritmica, in passato affidata ad una batteria quasi “muscolare”, si avvale di vari contributi analogici; quasi a rendere più pacato e ovattato il sound complessivo. Questo sviluppo nelle basi ritmiche, in cui forse le nuove traiettorie intraprese sono più evidenti che altrove, non manca, comunque, di offrire momenti molto diretti ed incisivi (“Brats”). Eppure, ciò che rimane alla fine del disco è un retrogusto fatto di raccoglimento e silenzio. Quasi che davvero si celebrasse un requiem all’ombra di quella lugubre copertina.

Si punta, nella maggioranza degli episodi, a ricreare un’atmosfera fluida e rarefatta. Una specie di nebbia carica di preghiera e poggiante su una tenue base ritmica come quella tratteggiata da “Who is the Hunter” (tanto per tirare in ballo un esempio). In generale questo “WIXIW” testimonia la volontà del gruppo di continuare ad avere credibilità e la giusta pretesa che ogni nuova uscita dovrebbe, per lo meno, avere qualcosa da aggiungere all’evoluzione del gruppo.

La puntina si stacca dal vinile e torna nella sua posizione iniziale. Hanno preso una via diversa rispetto al passato, ti hanno assalito da un angolo cieco. Ma non te ne rammarichi. In fin dei conti ti accorgi che, per quanto possano continuare a sperimentare nuove soluzioni, sono sempre loro. Riconosceresti il loro sound qualsiasi via percorrano. Per questo, e per molti altri motivi, non sono scomparsi nell’oblio come illustri comparse della scorsa decade.

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