'Bozo' è un disco orecchiabile ma molto difficile da assimilare, a causa di quel tangibile senso di vuoto che te lo fa sentire estremamente vicino in certi frangenti e stucchevolmente estraneo in altri.

Un basso quasi dub e la batteria in levare fanno da contraltare a fraseggi dimessi di chitarra spesso appena percettibili, ma il tutto è asservito a melodie la cui zuccherosità nasconde una angoscia sottile e sotterranea. Sono molti i punti di contatto con un genio della musica come Syd Barrett, il primo artista a celare il suo malessere dietro la falsa ingenuità di testi e del cantato: e la Husik canta esattamente come Barrett, un po' svagata, un po' annoiata, spesso filtrata dall'elettronica ma senza mai alzare troppo il volume. L'accompagna un organo che spazia dai droni più liquidi alle terzine ipnotiche alla Manzarek, alle cantilene da carillon dell'altro secolo. La produzione e le parti strumentali sono sempre sottovoce, a non sopraffare questo delicato equilibrio carico di tensione.

'Five to One', o 'Rats' se preferite, per gli anni '90.

 

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