Nonostante vi siano avvisaglie di drammaticità fra monicker del gruppo e titolo dell'album in questione, tanto da scomodare un trashosissimo Renato Pozzetto d'annata con una compilation di "Eh la Madona", ci sono un mucchio di belle cose da dire su questo gruppo di ragazzi. Anzi, no. Reset. Facciamo ragazzini che per qualcosa tipo sette anni, forse inconsciamente oppure no, han piazzato due decisi colpi alla scena hardcore recente. Come in ogni bella favola che si rispetti c'è bisogno di un'ambientazione e oramai seppur sentendomi abbastanza ripetitivo è da citare l'onnipresente California. Non siamo in zona Southern, stavolta Northern, più precisamente San Francisco. Vedete due righe sopra dove mi son corretto sul riferimento anagrafico? Ecco, vi spiego al volo. I Life Long Tragedy quando nascono nel 2001 per volontà del cantante Scott Phillips hanno un'età compresa fra i 14 e i 16. Proprio Scott era freshman (primo anno) dell'high school. No, non dell'università, avete letto bene: high school. E quando uscirà nel 2004 questo "Destined for Anything" per la This Blessing This Curse l'età del vocalist si blocca sui 17 anni. Il resto del quintetto non è tanto più anziano, ma la Deathwish li noterà fulmineamente dopo questo debut e, manco a dirlo, contribuirà a crear quell'identità hardcore fatta di Modern Life Is War e Killing The Dream.
Dove vincono i Life Long Tragedy? Domanda di facile risposta. Nella spontaneità, ispirati da quello che li circonda, con scenari che s'avvicinano di parecchio alla metafora di quella strada solitaria immersa nel deserto, guidati da una certa ingenuità (in senso positivo) di fondo cercando disperatamente e ossessivamente un cambio di direzione, come se sentissero che qualcosa dentro di loro mancasse, un'ansia che stritola e non si ferma. Un vuoto da colmare, da riempire per cercar di dar la propria lettura a relazioni e situazioni quotidiane, in cui il senso d'impotenza divora opportunità e futuro. Sì, liricamente son molto naif, ma quasi ossimoricamente maturi, non siamo nell'ambito fuck everything, fuck the world. È ovvio che il metodo migliore per lasciarsi andare di Scott e compagni sia una ricetta a base di hardcore trascinante e adrenalinico, dove c'è sì quella vena melodica che avvicina molto i nostri a Have Heart, Bane e soci, ma in cui risaltano splendenti e talvolta son preponderanti le power chord. Fermi, so cosa state pensando, son d'accordo con voi, siamo alla lezionen00bperfareunbelpezzo, ma qui nella fusione fra armonie e ritmiche spigolose, tendono a incendiarsi più rapidamente le seconde e nella loro scena d'appartenenza la cosa non è così scontata. I ponti tramite son gang vocals, spoken word sparse fugacemente e istintivamente qua e là fra la collera urlata di Scott. Si sente palesemente l'influenza di un hardcore fatto di sani, vecchi breakdown, ne sono debitori e non lo nascondono, riuscendo però a incastonarli in soluzioni di più ampia visione facendo risultare "Destined for Anything" più fresco di quello che potrebbe altrimenti apparire. Va, vi rimando a Roll The Credits, classico esempio di semplice botta che ti trascina giù e provoca i suoi bei dolori alla cervicale. Amen.
Se mi fermo a pensare che questo full length abbia già 11 anni mi sento male, sembra l'altro ieri quando scoprii "Runaways", il successore più intimista di questo lavoro, uscito nel 2008 dove la sferzante malinconia connota con più personalità i Life Long Tragedy. Si può dire che li abbia conosciuti postumi visto che quell'anno si scioglieranno. Classico break up improvviso, come ce ne son tanti nella scena punk/screamo/whatever. Quello che ricorderò sempre è l'impatto che ebbe "Destined for Anything" su di me, con quella mezz'oretta di riff disegnati e costruiti su rassegnazione e nel torpore sia fisico che mentale da risvegliare a suon di massicce schegge lanciate a tutta velocità pronte a sfracellarsi sull'asfalto. Mi hanno accompagnato (e tuttora lo fanno) per anni e anni e questo penso basti per le cinque stelline. I Life Long Tragedy saranno sempre quel rifugio dove ricordare un po' i tempi passati e in cui tuffarsi in pezzi che si conoscono a menadito, culminando con il climax nostalgico in cui ci si ritrova a cantare insieme a loro: "Where will this road lead? It this our destiny? Right now, time stands still. This is all that I believe."
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