Prima di tutto, bisogna dire che i Lifehouse non sono un vero e proprio gruppo, quanto piuttosto un progetto iniziato dalla DreamWorks record nel 2000 per dare spazio al talentuoso e giovanissimo Jason Wade, che si può considerare quindi il grande cuore pulsante del gruppo.
Attivo nel campo musicale fin da quindicenne, il giovane (tra l'altro figlio di due ministri americani) riesce a realizzare un Demo nell 1999, che su EBay oggi si vende a migliaia di dollari, e, l'anno successivo, ormai ventenne, addiritura un album con i due amici Sergio Andrade e John Palmer, rispettivamente al basso ed alla batteria; quest'album è proprio "No Name Face", che sul piano delle vendite supererò di molto le più rosee aspettative della DreamWorks vendendo milioni di copie in tutto il mondo.
Sull'album si può dire che, nonostante la forte influenza della casa discografica sul prodotto, sia dotato di una buona personalità proprio grazie al tanto lodato Wade, songwriter di tutte le canzoni dell'album e vocalist oggettivamente impeccabile; l'album alterna pezzi pop rock (i singoli) con pezzi più intimistici e acustici, ove si riscontra maggiormente il songwriting ispirato e di ottima fattura; certo, il dualismo di genere dell'album ha alzato anche diverse critiche sul debutto dei Lifehouse, che comunque vedremo in seguito, col prodotto già esaminato.
L'album si apre con quella che è LA canzone dei Lifehouse, "Hanging By A Moment"; per dare un idea del successo di questo brano vi basti sapere che fu nominato dal Billoard Music Award come "canzone più ascoltata del 2001", superando artisti affermati come Janet Jackson ed Alicia Keys, e fu scelto addiritura dalla Apple come brano preinserito negli I Pod da 4 GB.. Detto questo, è un buon brano? Non vi starò a dire che è grande musica perchè non lo è, ma sicuramente è un pezzo rock vivace ed orecchiabile che svolge bene il suo ruolo di opener; si prosegue con "Sick Circle Carousel", che nella mente di Jason sarebbe stato il singolo trascinante dell'album; non lo è stato, ma comunque offre un'orecchiabilità ed un immediatezza tale che avrebbe potuto esserlo senza problemi, oltre che tematiche più profonde rispetto al brano precedente, ossia la nostra tendenza a ripetere gli stessi errori piuttosto che imparare da essi.
Da qui il sound si ammorbidisce, acquistando al contempo melodie e testi più intimistici, con però qualche capitombolo qualitativo: se "Unknown", "Only One" e "Quasimodo" possono considerarsi brani riusciti ed effettivamente dolci e piacevoli, altri come "Trying", "Somebody Else's Song" e "Simon" mi paiono invece episodi noiosi ed eccessivamente ripetitivi.
Dedico un discorso a parte solo a "Breathing", ultimo singolo estratto, che considero una grandissima canzone sia nella melodia scelta sia nel songwriting:"I am hanging on every word you say and even if you don't want to speak tonight, that's alright" "cause I want nothing more than to sit outside heaven's door and listen to you breathing." e la conclusiva "Everything", con cui i Lifehouse, per dirla all'americana, dimostrano di saper "save the best for the last": "Everything" è la canzone più celebrata dalla critica e pur con i suoi 6 minuti di durata, riesce a non annoiare e a mostrare i punti principali di tutto l'album, con una prima parte acustica, quindi orchestrale e rockeggiante.
Dunque, detto ciò, è un buon prodotto? Sicuramente è un album che fa discutere, in quanto è considerato dai fan della band profondo, interrogativo e profondamente spirituale, mentre qualcuno invece lo trova "Rock commerciale da radio" o anche "Fin troppo sdolcinato e ripetitivo"; io credo che la verità stia nel mezzo, in quanto è chiaramente un prodotto da mainstream, ma sicuramente superiore per serietà ed impegno (tra l'altro di ragazzi all'epoca solo ventenni) a molti altri prodotti di genere simile, che se vi attira, vi potrebbe facilmente portare a valutare l'album ben più di quanto l'abbia valutato io.
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