Il ritorno dei Limp Bizkit a sei anni dall'ultimo album è a priori un ritorno vincente, la motivazione è semplice: da padrini del crossover commerciale sin dalla metà degli anni '90 (come dimenticare l'ottimo esordio di "Three Dollar Bill, Y'all") la band capitanata dal (carismatico!?) Fred Durst non si è mai tirata indietro rimanendo più o meno coerente circa il percorso musicale intrapreso, offrendo cosi al mercato ciò che loro vogliono e sanno fare, che lo si chiami Rapcore o che lo si chiami Nu Metal, a volte anche mettendoci la faccia stampando dischi mediocri quali ad es. l'ultimo "The Unquestionable Truth Part I", in anni dove gruppi come Linkin Park e P.O.D. avevano già forse impropriamente rubato loro lo scettro. Non essendosi quindi mai o quasi adeguati eccessivamente alle mode del periodo, affermare che il presente "Gold Cobra" è un disco 'alla Limp Bizkit' è di questi tempi una piccola soddisfazione, no ad abbigliamenti cool, no a tagli discutibili, no a copertine 'effemminate' e no a pezzi frivoli spacciati furbescamente per il 'cambiamento da sempre voluto', "Gold Cobra" è semplicemente un disco dei Limp Bizkit.
Non si può che partire con una intro, l'inquieta " Introbra " apre al rap di " Bring It Back ", " Remember all them 90's things, them 90's hits we laced like this. Commin' to you live 2012 and hell theres still not shit like this ", tradotto in soldoni, Durst ricorda il passato e rivendica il fatto di essere i soli (o tra i pochi) a rimanere in piedi nel genere.
A seguire la convincente title-track "Gold Cobra", secondo singolo estratto, il ritornello non sarà quello vincente dei tempi d'oro, ma il pezzo convince e si fa piacere, come del resto anche la 'tamarraggine' della rabbiosa " Get A Life ", o il rap di " Shark Attack " e " Shotgun ", quest'ultima nonostante scelta come singolo di lancio, a parere personale non particolarmente convincente anche perchè non rispecchia a pieno lo stile del disco. Non mancano le sorprese come l'introversa "Walking Away", la base di DJ Lethal è per la prima volta nell'album riflessiva, J. Otto accompagna alla batteria mentre Wes Borland si fa all'inizio da parte per dar voce al rapper di Jacksonville, per poi accompagnarlo nel finale con un assolo con la sua "Jackson" (o "Yamaha"!?). Pian piano calano i ritmi ma non la qualità, " I'm a Loser yes is true " ammette Durst in "Loser", il sound del disco sembra spostarsi dallo stile rozzo di "Chocolate Starfish" a quello più delicato e criticato (per me ingiustamente) "Results May Vary", dando spazio di più a melodia e riflessione.
Nel complesso risultato soddisfacente, non deve ingannare la lunghissima attesa rispetto all'ultimo album, circa 6 anni, in quanto tanti sono stati i problemi della band lungo questo tragitto, in particolare il distacco di Wes Borland inizialmente diretto verso una collaborazione con M.Manson e successivamente richiamato a suon di dollaroni dalla Interscope Records e dal suo ramo, la Geffen, casa produttrice appunto dei 'Biscotti' e di cui lo stesso Durst ne è parte attiva.
"Gold Cobra" non sarà senz'altro il disco dell'anno, ne tanto meno il migliore della carriera della band della Florida, tutto sommato però è un album che ci fa riassaporare i sapori del Crossover di una dozzina di anni fa, e a dispetto del non eccezionale ritorno dei Korn , del pop/rock dei Linkin Park, dei problemi degli Slipknot e dell'anonimato in cui sono cadute band come Crazy Town o Drowning Pool, il funambolico quintetto si può godere la scena che loro stessi hanno contribuito a creare. Preparatevi nuovamente ai 'fuck off' gratuiti di Durst e dei suoi biscotti, che seppur inzuppati, non si sono ancora maciullati, almeno non definitivamente.
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