Premessa e chiarezza: i Linkin Park non sono mai stati una band rock nel senso classico del termine, ne mai lo saranno, il presente "Living Things" ne è la conferma, ma se per qualcuno, per i più 'classici' ciò debba essere vista come un'aggravante, è inutile sia ascoltare il disco, sia leggere la presente recensione.
Inoltre, la frase presente in una recensione di questo portale "Il mondo ha chiesto a gran voce un grande album rock. Finalmente l'ha ottenuto." pare non essere mai stata pronunciata dalla band, ma sono solo considerazioni dei 'fan', di quelli che a mio parere non hanno ben compreso l'obiettivo di questo disco.Si tratta quindi al netto dei tanti, troppi dischi remix e live, del quinto album ufficiale per la band californiana, dopo il contorto e discusso "A Thousand Suns" che portava la band verso uno stile più pop, il ritorno sancito con "Living Things" vede la band riprendere in parte i percorsi musicali del passato: "suonerà come Hybrid Theory, ma non con le chitarre di Hybrid Theory" queste sono parole 'ufficiali' e ci teneva tanto a sottolinearne in una recente intervista Mike Shinoda, rapper e producer della band, poco prima dell'uscita del disco. Uscita anticipata dal singolo "Burn It Down", un tormentone forse un pò troppo radiofonico per i gusti di chi segue da sempre la band, ma che in complesso nel suo mix di pop elettronica e rock, ha accontentato tutti. Lo spirito con cui deve essere ascoltato il presente album deve essere quello di riuscire a capire cosa può uscirne fuori fondendo gli ultimi lavori pop-oriented con gli esordi che invece strizzavano l'occhio alla corrente Nu Metal, ad oggi anche per causa loro, ormai morente.
L'apertura di "Lost In The Echo" con tanto di base condita da un bit quasi Techno (è giusto dirlo) soddisfa e incuriosisce, e ciò che si evince immediatamente è come a questo giro sia stato fatto un lavoro più curato di mixaggio in cui le basi di Joseph Hahn e Mike Shinoda sono più orecchiabili e convincenti, cercando di arginare l'incidere sempre energico del vocalist Chester Bennington, che anche a questo giro sembra non farsi trovare impreparato (anche se oggi in studio si può davvero fare di tutto).
Dopo un paio di pezzi che presentano una struttura simile quali "In My Remains" e la già citata "Burn It Down", il primo pezzo che apparentemente pare un corpo estraneo al disco è "Lies Greed Misery" che risulta essere un pò scontata salvo un finale in cui Bennington, come già nel pezzo "Lost In The Echo" torna ad accostare degli scream a strofe cantate, il che deve sorprendere in quanto era un marchio di fabbrica solo dei Linkin Park di diversi anni addietro. La buona "I'll Be Gone" è forse uno dei primi episodi prettamente alternative rock della carriera della band, mentre "Castle Of Glass" è il tentativo, finalmente ben riuscito ( dopo svariate chance sprecate ) del rapper Mike Shinoda di farsi valere anche come cantante, tenendo da solo un intero brano, e togliendosi quindi la nomina dell'intrattenitore addetto alle strofe hip-hop.
"Victimized" nel suo essere synth ed elettronico è il primo pezzo dei Linkin Park che ha qualcosa a che fare col Metal, in una versione ovviamente marcatamente digitale. Un peccato che la sua durata sia inferiore ai 2 minuti, a mio parere si poteva lavorare meglio su tale brano e con più decisione, ponendolo come uno dei pezzi chiave del disco.
Una seconda parte dell'album un pò in discesa smorza l'entusiasmo anche sul lavoro di assemblamento di generi non vicini tra loro, brani come "Skin To Bone" e "Until It Breaks" si caratterizzano, almeno ai primi ascolti, davvero poco.
Come nei primi due dischi inoltre è presente una traccia strumentale come penultimo brano della scaletta, "Tinfoil" funge da preludio alla buona chiusura di " Powerless " che nel suo incidere malinconico rilancia un Bennington da troppi minuti fuori scena (errore da non commettere in un LP da poco più di 37 minuti).
Nel complesso "Living Things" è un album che soddisfa le attese, sempre fin troppo pressanti e pesanti quando si parla di Linkin Park.
La pressione mediatica appunto non fa altro che inquinare ciò che gira intorno alla band: "The band's most powerful material since its megabit 2000 debut"; si esprime cosi il Rolling Stone, rivista sempre pronta ad idolatrare anche quando non c'è ne proprio bisogno.
L'invito è di ascoltare questo disco come una sorta di incrocio tra qualcosa che possa essere al passo coi tempi e qualcosa di alternativo, se invece siete legati ad altri e giusti concetti di rock, è inutile sia sforzarsi ad ascoltare, sia condannare a priori.
Per chiudere una parentesi sui testi, la coppia Bennington/Shinoda torna parzialmente al passato parlando di sensazioni personali e tralasciando temi importanti come la politica e la religione affrontati in "A Thousand Suns", che tutto sommato non è ne troppo vicino ne troppo lontano dal presente album.
Una band tra passato e futuro, ma che lo si voglia ammettere o meno, una band che rappresenta oggi uno dei punti cardini del poprock/alternative internazionale, o come tanto piace affermare ai diretti interessati, la consacrazione della musica 'ibrida'.
Tracce chiave: "Lost In The Echo" ; "Ill'Be Gone"; "Victimized"; "Powerless".
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