Sono di ampie vedute sul panorama americano (con svolta a L.A.) degli anni '80 e '90. Per cui asfalto recensioni anche su generi più pacchianamente pomposi rispetto allo street/glam. Generi che per qualità tecnica sono da primi della classe. Infatti sono qui a presentarvi o rimembrarvi le gesta fiere di gente che quando si presentava dal coiffeur, ci voleva una settimana a sistemarli tutti e quattro.
Le quattro criniere sono quelle dei Lion, alfieri dell'heavy metal melodico californiano degli eighties. Noti soprattutto per il chitarrista Dough Aldrich, che ha avuto una bella carriera nella savana class rock / metal e hard rock entrando a far parte dei musicisti di Dio (non sono una congrega, bensì coloro che hanno suonato con Ronnie James) e dei Whitesnake, e per l'impetuoso e aitante singer Kal Swan (Geoff Tate vi dice qualcosa?), i Lion sono stati un gruppo che ha fatto il suo in magnificente pompa magna, regalandoci tre album da manuale della musica di cui questo è il conclusivo del trittico. Anno di uscita 1989.
La formula musicale non è da geni. Questi hanno semplicemente fatto 1+1+1+1+1=5. Voce, chitarra, basso, batteria, tastiere = musica (il tastierista era session man). Ma il peso specifico di ogni singolo 1, ebbene questo è da valutare per capire il volume effettivo della massa musicale che i Lion hanno presentato al mondo. Insieme di solisti che danno tutti l'idea del musicista per professione, i "Leoni di L.A." hanno prodotto 10 brani di rara bellezza di cui l'unica pecca è stata proprio la professionalità maniacale, la cura estrema di ogni dettaglio, a partire dal suono, di queste che comunque sono 10 sculture plastiche di class/pomp. Tipico esempio di paradosso di chi ci mette metodo e criterio nelle cose che fa. Ma l'anima un po' se la dimentica. O sono io che proprio non so vederla.
Trouble in angel city (io ce l'ho in cassetta!) o in cassetta!ma di ogni dettagli a partire dal suono di queste che comunque sono 10 scuha perfino una durata ideale, ti lascia il tempo di farsi apprezzare senza annoiarti, svolgendo un tema dai contenuti semplici ma composto, secondo per secondo, con il miglior lessico musicale. Ci sono i tuoni d'apertura, le ballad mai melense del class (non si cercano qui lidi romantici, semmai emerge una sorta di chiusura in se stessi, di autoesclusione), una cover come "Lock up your daughters" degli Slade, che dà una vergata energica all'album partendo con lo scream elegante ed accigliato di Swan, e proseguendo su un riffone precursore di tanta e tanta musica che di lì a poco si sarebbe fatta strada.
Davvero notevole è il lavoro Aldrich. Nella sua alcova dovevano esserci solo chitarre! Gli assoli sono lunghi e ben strutturati come un vino barricato. Si può sentire benissimo anche in "Victims of circumstance" brano che resta impresso come quelli distribuiti per più della prima metà dell'album. Il chitarrista in questione ricorda da vicino il primo Vito Bratta, ma dalla sua ha una produzione meno incerta e ben calibrata.
"Lonely girl" è il penultimo e insignificante pezzo acustico (questo sì, se lo potevano risparmiare) del disco, posto prima dell'accademica e maestosa "Forgotten sons" che suggella album e carriera dei Lion. Riff spropositato, assolo memorabile, voce finalmente aggressiva e poco impostata, tono epico e finale acustico segnano il primo intervento in gamba tesa della band che così chiudendo, lascia un ottimo ricordo di se stessa.
Che dire. Non si può parlare male di un album che comunque è classico fino all'inverosimile, poco creativo ma degnissimo di nota perché dato alle stampe da una band secondo me fondamentale. Se i posteri in questo caso sono rappresentati da me, allora la sentenza non è ardua. Un 4 meritato a Trouble, un 5 alla carriera.
Carico i commenti... con calma