Qualche anno fa su una rivista specializzata, c'èra lo speciale sui 100 dischi italiani migliori di sempre e ricordo che tra i primi 20, figurava questo vecchio lavoro dei Litfiba. Ne sentivo parlare già da prima e sia titolo che copertina mi incuriosivano molto, oltre al fatto che si trattava di una rockband toscana apprezzata dal sottoscritto. Ma quel riconoscimento della critica, mi faceva pensare ad un album particolarmente ambizioso e diverso dal resto della loro fortunata discografia. Dopo averlo ascoltato per la prima volta lo scorso mese, capii perchè era così importante (soprattutto in quell'Italia musicale del 1987).
17 Re è, con ogni probabilità, l'album meno facile e più affascinante dei Litfiba, capace di sconfiggere l'usura del tempo con un sound innovativo che abbraccia la miglior tradizione New Wave e il Progressive di stampo italico. Soprattutto c'è da ricordare la magica ispirazione di quei membri: Gianni Maroccolo, che oltre ad essere l'inventivo bassista, era la prima mente del gruppo; Ghigo Renzulli, chitarrista dal timbro secco ed efficace; Antonio Aiazzi e i suoi voli pindarici con le tastiere; i precisi rintocchi percussivi di Ringo De Palma e non ultima, l'istrionica voce di Piero Pelù, novello Iggy Pop che col suo famoso registro sciamanico, rende originale anche la più semplice delle liriche ("stringi la mano e vieni via, ti porterò lontano" forse non vi dirà granchè, ma cantata in quel modo da Pelù...).
Ancora in possesso di una indubbia modernità, 17 Re si apre con le immediate "Resta" e "Re del Silenzio", che manterranno saldi legami con lo stile futuro dei Litfiba. "Cafè, Mexcal e Rosita" è un episodio minore ma pur sempre spassoso, con quelle tastiere saltellanti e la chitarra grezza in vena di scherzi. "Vendetta" sprigiona emozioni sconosciute, accentuate da un ritornello strano che si fa più liberatorio nel finale, guidato dall'acidità elettrica di Renzulli; discorso a parte per la notturna "Pierrot e la Luna", cronaca di un sogno irripetibile terminato dal memorabile assolo di Aiazzi.
Di seguito, scorriamo davanti un Tango a tempo di Rock, un'energia trascinante che trasforma Pelù Come un Dio nei cieli, un allucinato, misterioso soffocamento della Febbre, un'emozionante Apapaia (con quel perentorio "rispetta le mie idee" e il giro di chitarra da brivido del Renzulli, un avvincente viaggio nell'Univers, una Ballata evocativa come quella splendida linea di basso di Maroccolo, una martellante Gira nel mio cerchio... o ancora le tastiere da telefilm giallo di Oro Nero, accompagnate dal ritornello piacevolmente corale per finire con l'epilogo minaccioso, epico, struggente di Ferito.
Chi conoscesse solo i Litfiba di El Diablo o Terremoto, è avvisato: troverà uno scrigno sonoro dalla visionarietà impenetrabile che lo folgorerà poco a poco, come la sua bellissima copertina rosso acceso.
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