Scomodare un nome storico come Litfiba vuol dire parlare della storia del rock italiano. Punto.
Con una carriera fatta di alti (molti) e bassi (pochi), scioglimenti, addii e ritorni, è innegabile che l'ensemble fiorentino ha avuto un'influenza forse unica sulla scena rock italiana degli anni Ottanta e Novanta.
Ma come? Più di PFM, Banco ed Orme? Forse.
Malgrado il peso enorme che il rock progressivo in salsa italiana abbia avuto durante gli anni Settanta, è indubbio che questo sia stato un fenomeno maggiormente di nicchia, tanto acclamato all'estero quanto semi-snobbato in Italia (naturalmente). Il fallimento di formazioni come Biglietto per l'Inferno, Locanda delle Fate ed altri è spesso anche da imputare ad un mercato poco ricettivo, oltre che ad una proposta che di commerciale, e quindi facilmente fruibile, aveva ben poco.
I Litfiba, anche grazie alle intuizioni del "George Martin" della situazione (con i dovuti distinguo, naturalmente) Albero Pirelli, riuscirono a fare qualcosa di unico: fare di musica di qualità, pregna di atmosfere gitane e decadenti che si accompagnavano a testi onirici e poetici riuscendo allo stesso tempo a vendere. Fanno naturalmenti fatti dei distinguo: il gruppo degli anni Ottanta, sia per organico che per musica proposta, non è quello degli anni a venire ed in più occasioni l'assenza di un membro storico come Gianni Maroccolo (divenuto poi uno dei simboli del rock alternativo con CCCP-Fedeli alla Linea, CSI e Marlene Kuntz) si sarebbe fatta sentire.
D'altro canto non si poteva certo pretendere che i Litfiba del '94 suonassero come quelli dell'83 (e qui potremmo stare a discutere all'infinito se con lo scioglimento del nucleo originale i "superstiti" avrebbero dovuto o meno presentarsi con un nome diverso). All'interno di una storia comunque così lunga e complessa è innegabile che il gruppo abbia realizzato almeno tre album memorabili: "Desaparecido" (1985), "17 Re" (1986) e "Colpo di Coda" (1994). Così come è innegabile che il gruppo, rispetto alla scena internazionale, fosse costantemente in ritardo per quanto riguardava il genere di volta in volta proposto (con i vari cambi di genere inseriti comunque all'interno di un'evoluzione logica).
Se il gruppo proponeva new wave nella seconda metà degli anni Ottanta, questa all'estero era ormai sul viale del tramonto, quando faceva hard rock ("Terremoto", 1993), all'estero l'hard'n'heavy era stato spazzato via dal grunge e quando veniva proposto quest'ultimo ("Spirito", 1994), la scena musicale stava già cambiando. Non si capisce, francamente, se questo "scarto", se così lo vogliamo chiamare, è dato dal voler seguire le mode del momento (ma finchè quelle sonorità venivano fatte proprie il genere proposto era già "passato di moda") o dal fatto che, dal punto di vista musicale e culturale, l'Italia sia sempre stata tagliata fuori dai circuiti importanti.
"Desaparecido" ha comunque dalla sua parte una produzione decente e, soprattutto, un gruppo assolutamente in forma, che giungeva al grande passo dell'LP solo dopo anni di maturazione ed EP "di prova", escludendo naturalmente quel complesso lavoro che era stato "Eneide di Krypton", disco quasi completamente strumentale incarnazione del lato più cupo e decadente della primissima incarnazione del gruppo, ma da considerarsi comunque un esperimento a sè. Dall'iniziale "Eroi nel vento" (sulla copertina fu riportato, sbagliando, "Eroe nel vento"), autentico manifesto, che sta anni agli Ottanta come "El Diablo" starà ai Novanta, a "La preda" (altro brano ben rodato con gli anni), passando per capolavori come "Desaparecido", "Istambul" e "Pioggia di luce", gemme di rara bellezza in cui una sezione ritmica forse non tecnicissima ma che svolge alla perfezione il proprio compito supporta il lavoro di tastiere e chitarre, a cui fa da contraltare la voce baritonale di un Piero Pelù forse mai così ispirato.
L'unicità dei Litfiba stava proprio in questo: dopo qualche cambio di formazione (un paio di batteristi cambiati) si era arrivati ad un assetto in cui ogni elemento aveva il proprio peso ed un'identità ben precisa, assetto che, naturalmente, in futuro sarebbe stato impossibile riproporre con un organico differente. Pelù aveva un carisma unico, un modo di cantare ancora lontano da quello quasi grottesco e caricaturale di fine anni Novanta, e scriveva testi ermetici, decadenti ed evocativi (anche grazie alle sedute lisergiche fatte con l'amico batterista Ringo De Palma). Il viaggio, l'Europa dell'est, i popoli nomadi, l'incontro di culture: tutti temi che hanno seguito il gruppo nelle sue varie evoluzioni, indipendetemente da chi fosse l'autore delle liriche, quasi fossero divenuti un marchio di fabbrica dal quale era difficile staccarsi, un cordone ombelicale con un periodo artistico e culturale che non si voleva recidere.
Il "resto" lo facevano un Ghigo Renzulli, fondatore insieme a Maroccolo del gruppo, sempre presente ma mai invadente (assoli limitati, un ruolo quasi di secondo piano rispetto a quello degli a seguire, ma comunque una fucina di idee), Gianni "bassomagiatutto" Maroccolo, che contribuiva enormemente agli arrangiamenti (la sua assenza è forse ciò contraddistingue maggiormente i Litfiba storici da quelli del boom commerciale dei Novanta), il suono delle tastiere di Antonio Aiazzi, vero trait d'union tra la new wave degli esordi e l'hard rock del periodo '90-'94, oltre che la batteria di Ringo De Palma. L'anno successivo il gruppo si sarebbe riproposto su livelli simili con "17 Re", lavoro ambizioso, molto lungo per l'epoca (sedici brani su doppio vinile), l'album che Maroccolo avrebbe più volto descritto come quello che sente a lui più vicino, figlio di un lavoro interminabile su musiche ed arrangiamenti.
Se nel 1986, quindi, l'eterno braccio di ferro Renzulli-Maroccolo lo aveva vinto quest'ultimo, già dall'anno successivo di cambia registro: con "Litfiba 3" (1988), album più prevedibile, ma non per questo di scarsa qualità, Renzulli riesce ad imporsi definitivamente come leader del gruppo, introducendo quelle sonorità puramente rock che avrebbero fatto la fortuna della formazione fiorentina fino ai giorni nostri. La rottura definitiva arriva nel 1989, con la sezione ritmica che abbandona ed Aiazzi che partecipa come semplice turnista. Da quel momento in poi non è più la stessa cosa: i sostituti non valgono i sostituiti e mediamente per ogni album ci saranno tre-quattro brani di spicco accompagnati da altri che fino a qualche anno prima sarebbero rimasti nei cassetti. Indipendentemente da questo, comunque, non si può non affermare la storia del rock italiano è passata anche da questi solchi.
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