Operazione Riesumazione.

Avvicinarsi e giudicare dischi del genere è sempre difficile, credo. Per due motivi: la distanza temporale che ci separa dall'opera - e quindi il fatto che possa risultare datata - e lo status che questa ha assunto, in direzione inversa. Forse allora conviene ragionare per influenze: quelle che hanno determinato questo artista sregolato e geniale e quelle che egli stesso ha elargito negli anni. Tanto per citarne le prime che mi vengono in mente, nel primo gruppo: il gospel eseguito nelle celebrazioni in chiesa e il blues, che nella linea temporale derivava direttamente dagli spirituals e sfociava nel vitalismo del boogie-woogie. Se è vera la testimonianza di T-Bone Walker, secondo cui "il primo boogie-woogie fu ascoltato in chiesa", il cerchio si chiude in maniera inaspettata e perfetta. Una musica che flirtava contemporaneamente col sacro e il diabolico fu fin da subito quella di mr. Penniman: per questo ebbe presa sulle masse di giovincelli in modo così deciso. Da parte sua poi Little Richard ci mise una componente fondamentale: il jazz e i suoi ritmi ballabili. Mi riferisco ovviamente al jazz orchestrale di Count Basie e Duke Ellington, ovvero allo swing (meglio ancora: il lindy-hop ballato negli anni Quaranta nei quartieri neri) con i suoi ritmi indiavolati e frenetici. Dall'autobiografia di Malcolm X:

"L'orchestra di Count suonava a pieno volume. Io afferrai Mamie e cominciammo a ballare. Era una ragazzona grande e grossa, piuttosto rozza, e ballava il lindy-hop come un cavallo imbizzarrito. Ricordo ancora la sera in cui si fece conoscere come una delle campionesse di show al Roseland. L'orchestra stava suonando sui toni acuti e lei gettò via le scarpe e a piedi nudi cominciò a gridare e a dimenarsi come se si trovasse in mezzo alla giungla africana a ballare una danza selvaggia; poi fece qualche figura sempre urlando ad ogni passo finché il tipo che ballava con lui fu costretto ad usare la forza per tenerla sotto controllo".

E' facile avvicinare quest'immagine alla frenesia che scatenava Little Richard con le sue esibizioni, orge di ragazzini che vedevano nel rock 'n roll la prima vera liberazione dalle proprie inibizioni; Ready Teddy, Long Tall Sally, Slippin' and Slidin', Jenny Jenny erano pezzi che dovevano scatenare i sensi di centinaia di giovini, ed è facile immaginarseli liberare e dimenare muscoli e articolazioni. E come dimenticarsi poi del pezzo che ha portato Little Richard agli onori della storia, quella Tutti Frutti stra-stra-stra coverizzata e saccheggiata da chiunque che non sto nemmeno a fare i nomi.

Insomma, c'è bisogno di dire altro? L'orchestra di Little Richard, Earl Palmer, Frank Fields, Alvin Tyler e Lee Allen suona a mille, come se ogni pezzo dovesse essere l'ultimo; destreggiandosi fra l'altro nei pezzi lenti - Can't Believe you Wanna Leave, Miss Ann - che sono peraltro i meno rappresentativi dell'album, ma sono sostenuti da Little con una voce tiratissima che non aveva uguali all'epoca. Se è vero che il rock 'n roll è soprattutto pezzi brevi e veloci fatti per divertirsi e non pensare troppo, la Storia inizia anche da qui e sappiamo tutti dove andrà a finire. Si parlava di influeze all'inizio. Tra le tante, mi preme citare anche quella che fece esordire tale Antonio Ciacci ("Se in America hanno uno che si chiama Little Richard, allora io posso chiamarmi Little Tony"). Noi italiani ci distinguiamo sempre per qualcosa, evabbè. 
 

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