Leggendo quanto riportato sulla carta (da musica) stampata e gironzolando per la webrete se ne leggono di tutti i colori su questo secondo album dei giovani Liturgy estroflesso non più di qualche mese addietro dalla Thrill Jockey, uscita che ha letteralmente spaccato in due sia l’opinione degli addetti che soprattutto quella ultra-integralista degli adepti di musicacattiva: si passa con nonchalance dalla definizione di disco-truffa tout court a quella di capolavorissimo senza tempo.

Citate, anche a vanvera, tutta una serie di più o meno evidenti influenze che marchierebbero indelebilmente l’hyperborean-post-black-outer-metal dei quattttro hipsters di Brooklyn: Glenn Branca, Burzum, Boredoms, Battles, Dark Throne, Husker Du, Hellhammer e Lightning Bolt. Un bel frullato, non c’è che dire.

Ecco, prescindendo da inutili sensazionalismi e da iperboli descrittive fuori luogo, bisogna ammettere che il disco, aldilà della voce da squoiato vivo (ma con garbo), spesso funziona e, nonostante la presenza di brani lunghi e tumultuosi, difficilmente annoia: una effervescenza strumentale considerevole e una gamma di soluzioni timbriche inconsuete per il genere di riferimento (si ma quale?) permeano efficacemente le dodici docili tracc(i)e del disco.

E poi hanno pure inventato il burst-beat: micapizzefichi.

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