Quella dei Live è una furia composta, meditata e dettata da un profondo senso di spiritualità, o comunque, da una costante ricerca della stessa.

Considero Mental Jewelry parte di un trittico ideale assieme a Throwing Copper e Secret Samadhi per comprendere la crescita di questo gruppo. Di fatti, i primi album trattano stesse tematiche ma sotto produzioni pesantemente diverse tra loro.

Tra i motivi spicca quello temporale. I Live si chiamano ancora Pubblic Affection quando iniziano a scrivere il disco, e sopratutto, escono fuori dagli anni ottanta.
Chi si avvicina al gruppo iniziando ad ascoltare per esempio I Alone, proseguendo per una Lakini's Juice e s'imbatte in The Beauty Of Gray, si chiederà se si tratta degli stessi musicisti, non fosse per il caratteristico cantato tremolante di Kowalczyk.

In Mental Jewelry manca l'incisività delle chitarre sferraglianti -che Chad Taylor non aveva ancora adottato- ma vi è tanto groove, davvero tanto; il mix premia il basso.
In buona sostanza questi Live hanno più in comune con Tracy Chapman che con i Pearl Jam.

Qui entra in gioco il vero asso dell'intero progetto musicale: la penna e voce.

Operation Spirit e Pain Lies On The Riverside (ma anche Waterboy per esempio) sono una dichiarazione
d'intenti. Non si può aspettare che il dolore e l'ansia vengano sconfitti da una fede alla quale aggrapparsi. Su questo concetto Kowalczyk ci mette su almeno mezzo album.

La spiritualità che sottolineo a inizio recensione è pur sempre la spiritualità da musicisti ventenni. Ma questi allora ventenni incanalarono risentimento e frustrazione in un modo di porsi e raccontare caratteristico seppur adatto ai fini commerciali della scena musicale che quella decade stava forgiando.

Leggendo le interviste trovate in giro scopro di essere d'accordo con Ed Kowalczyk quando afferma che, da cantautore, trova l'ingenuità delle prime opere un dono che purtroppo è destinato a svanire col tempo.

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