Come una mostra d'arte post-pop al New Museum of Contemporary Art di Broadway. "Prima ed oltre i Rage Against the Machine, fondendo hip-hop, punk e metal rock in un'esplosione d'energia nera" (fonte www.ticketone.it), c'era un gruppo che aveva fatto della parola "contaminazione" la bandiera da sventolare per manifestare la loro evoluta e utopica impostazione.
Un incrocio di stili e suoni lontani, di derivazione post cyber-punk, sviluppato in un percorso ricco di contaminazioni e sperimentazioni tra influssi dei media e nuove tendenze artistiche, oscillazioni continue tra arcaico e futuro tra digitale e post-punk: questo è il nuovo disco dei Coloured.
Ammiccamenti vagamente bohemienne richiamati da linee vocali (finalmente) all'altezza delle strutture costruite dalla solida ma provocatoria sezione ritmica fanno da resistenza ai richiami futuristi dei campionamenti e dei suoni funzionalmente digitali della chitarra di Reid.
I Living Colour ci dichiarano apertamente in questo disco (ma anche nei precedenti si potevano trovare delle prove a carico) il loro amore per i Beatles, sia con la coraggiosa cover di "Tomorrow Never Know" sia con espliciti cliché tipici dei FabFour, come il cantato nelle strofe di "In Your Name" che ricalca fedelmente l'accento di "Come Together", pur con un testo sostanzialmente differente per metrica e tematica.
Nel disco si sente molto forte l'influenza del geniale bassista Daug Wimbish, che ha rilevato gia dai tempi di "Stain" l'ex Muzz Skilling, da sempre attento alle nuove tecniche per esprimere le proprie capacità sul suo Warwick, frustato da un continuo ed incessante martellamento di slap 'n' stick. Will Calhoun è - forse - il batterista più moderno presente in circolazione. Non è un batterista metal, non è jazz, non è rock (e cito dei generi solo per farvi capire cosa voglio dire - nota di Mr_Iko), è semplicemente "tutte queste cose assieme" con l'aggiunta di essere anche una drum machine umana, quando la canzone richieda loop e drums programming.
Leggermente intimorito dalla personalità di Daug, Vernon Reid, conosciuto dai suoi fan anche per il suo lavoro da solista "Mistaken Identity" (passato quasi inosservato da noi) ha ridotto le sue escursioni sulle tastiere delle sue Hamer, Parker e Ovation a più dedicate e incisive ricerche di licks idonei a risaltare il lavoro sul groove portato avanti dalla sezione ritmica. Il risultato è una meno sfavillante ma più riuscita applicazione di tecnica e attuazione di spirito melodico alla necessità costitutiva delle canzoni.
La voce è finalmente (come dicevo) all'altezza degli strumentisti: non si notano più le fastidiose forzature presenti nei lavori precedenti, le quali suonavano quasi come necessarie decorazioni di un corpo estraneo fatte col fine ultimo di rendere le canzoni gradevoli ad una fetta maggiore di pubblico.
Cercavo l'energia di Stain. Oppure la fantasiosa e metafisica sperimentazione applicata al rock di Time's Up. Ho trovato entrambe le cose, anche se l'una, necessariamente, tende a ridurre l'altra per esaltare la propria dimensione. Ho trovato un gruppo forse ancora alla ricerca della propria collocazione nell'universo musicale.
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