Esegesi del pensiero di emancipazione ideologica in “Stain (Sony - 1993)”

I Living Colour non hanno mai avuto timore di sgretolare a colpi di riff la depravata società consumistica americana, politicamente corrotta e guasta negli ideali. Il loro primo disco “Vivid” (1988 – n. 6 in USA) conteneva una canzone che allora fece clamore, quella “Cult of Personality” in cui il testo derideva l’adulazione illusoria e passiva delle grandi personalità del passato, che esse si chiamassero Stalin, Gandhi, Mussolini o Kennedy. Leggiamo assieme alcuni stralci dal testo, la cui conoscenza è necessaria per capire anche lo spirito di Stain:


“...I know your anger, I know your dreams
I’ve been everything you want to be
I’m the cult of personality
Like Mussolini and Kennedy
I’m the cult of personality

I tell you one and one makes three
I’m the cult of personality
Like Joseph Stalin and Gandhi
I’m the cult of personality

Neon lights a Nobel prize
A leader speaks, that leader dies
You don’t have to follow me
Only you can set you free...”


Abbastanza chiaro il senso no? Ecco, “Stain” prosegue sulla falsariga di questo concetto. Evitando l’imposizione di ulteriori dottrine (inutili e fuorvianti) e supportato da un suono fiero, autorevole e traboccante di energia, “Stain” è la strada che i Living Colour hanno utilizzato per raggiungere la loro emancipazione. Ma, ed è qui la pregevolezza, la strada è valida solo per loro ("...I don’t want your life, I’ve got my own needs, a life of my own, a chance to be free..." - da “Auslander”), in quanto la ricerca deve essere strettamente personale e soggettiva (che i quattro abbiano letto “Siddartha” di Hesse durante la composizione?)

Non sono presuntuosi, non vogliono essere loro gli ulteriori messia da seguire: ad ognuno la propria vita frutto delle proprie scelte: "...People, if they choose you, then they want you to decide..." da “BI”, in cui riprendono il concetto del filosofo libanese Gibrain, cioè se ti fidi troppo e non interpreti ciò che leggi finisci col pensare con la testa di chi ha scritto e non con la tua.

Stain è un vortice. Di emozioni e riflessioni. Stain è una pugnalata nuda e cruda al vittimismo e alla passività. Si potrebbe definire un “chakra” per l’energia che sprigiona. Incredibile come le canzoni, una più potente dell’altra, possano scorrere con così tanto impeto: non sono cascate di note ma cascate di emozioni. Diversamente da tanti altri gruppi che tentano di contestare gridando vendetta e urlando una rabbia che presto esploderà (finendo per risultare piuttosto ripetitivi e scontati), al contrario i Living Colour dispongono di una invidiabile creatività melodica ed eleganza negli arrangiamenti. La potenza del loro discorso è anche nella fluidità con la quale lo presentano, evitando spigolature fastidiose e facendo risplendere la loro arte compositiva.

Affiora anche un pessimistico sconcerto nelle loro parole. Purtroppo, come ben si sa, il male spesso risiede nell’ignoranza ed indifferenza della gente e ”Ignorance is Bliss” infatti: "Living with myself is hard enough/ so I get away when things get rough/ fammon, strife, and thoughts of war/ matter less than the dress she wore”. E non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire, no? Se il problema delle guerre ti tocca meno che il vestito che lei ha indossato...

O forse il male non risiede nell’indifferenza ma nel fatto che si possa avere la tendenza ad essere “Never Satisfied”?

“Ain’t got no girl to kiss on, what I got
Ain’t got no face to sit on, what I got
Ain’t got no star to wish on, what I got
Well... I will never be satisfied”


Sinceramente non sono state poche le volte che mi sono sentito così...

Incrociando i riff e i testi si potrebbe ricavare l’idea che Stain sia un concept album. E forse lo è, più nell’idea uniformante di fondo che non nell’interpolazione delle singole tracce. O forse no e “This (is only a) Little Pig”, perché:

"This little pig has a mind of his own
This little pig thinks he’s cool
This little pig thinks that he’s all grown
And this little pig needs school”


Mentre girano le note della rabbiosa “Leave It Alone” che fanno da contraltare alla dolce nenia di “Nothingness” mi sento confuso. Il Colore Vivente, in tutte le sue forme e abilità è un giocoliere che domina la vita, l’amore e la morte giocando con solo tre dita, mentre io, ansimando, impiego tutto il mio corpo e le mie energie per resistere al vortice che ho attorno.

Starete pensando che non dovrei prendere così sul serio la musica, vero? Guardate che si tratta solo di concentrarsi e si trova il meglio in ogni cosa. C’è gente che pretende di intuire il futuro solo tramite l’interpretazione dei fondi di caffè. Io, al contrario, ho meno ambizioni e mi limito a concepire delle idee guardando la bellezza delle donne. E della musica. E comunque “Mind Your Own Business”!

Concludo facendo mio il passaggio introduttivo di “Leave It Alone” e rivoltandolo nel privato “Leave ME Alone”:

“We must never take these words too seriously
Words are very important but then if we take them too seriously
We destroy every thing... So, just leave ME alone


P.S. Non sono stato breve, lo so e me ne scuso. Di chi è poco dotato nello scrivere come me, Karl Kraus diceva che sarebbe riuscito meglio in un romanzo che in un aforisma. Chissà che pensiero avrebbe avuto sulle recensioni?

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