Prima di Rage Against The Machine e Korn, prima delle tante amenità venute dopo con l'inutile 'nu-metal' ci furono gruppi che definirono le coordinate di quel crossover musicale creatura onnivora capace d'inglobare rock, metal, funk, psichedelia e melodia pop al finire dei controversi '80: grandi band quali RHCP, Faith No More e, appunto, i fin troppo sottovalutati Living Colour.
I quattro di NYC avevano una peculiarità di cui erano, giustamente, parecchio orgogliosi; quella di essere la prima VERA hard/rock band composta esclusivamente da musicisti di colore, e che musicisti... Infatti, se i Bad Brains furono già precursori in tal senso (ma nell'ambito, però, del punk/hardcore) Vernon Reid e compagni agivano su di un loro personale e ben più ampio schema musicale, che poteva includere tanto l'hard/blues dei Zeppelin quanto una sezione ritmica memore delle lessons d 'funky-drummer' del padrino soul Mr. James Brown, oppure i ricordi di certa new wave newyorkese di TH e il metal coniato dai californiani Metallica a inizio decennio. Reid era un typetto mica male, un guitar-man capace di partire dal dio Hendrix, attraversare le note con un assolo geometrico à la Fripp e finire con le ricamature funky di un Ed Hazel dei Funkadelic. Non meno dotati gli altri componenti, dalla mostruosa versatilità del batterista Will Calhoun (uno capace di suonare 'Battery' e poi, magari, 'Contusion') alle corde virtuose del basso di Muzz Skillings e, per finire, il cantato intriso di rabbia e passione soul del frontman Corey Glover.
Così, dal 1985 anno di nascita della 'Black rock coalition' si realizza finalmente il sogno del deus-ex machina Reid e tre anni dopo, sotto i buoni auspici dell'estimatore Jagger folgorato da un loro incendiario set live al CBGB's, questo sogno ha per nome 'Vivid'; 'vivido', palpitante di energia rock proprio come la musica che contiene. E forse rimane il caso più clamoroso di riappropriazione del verbo Rock mutuato dalle proprie radici culturali blues da parte di afroamericani, un pò come andare a Graceland e pisciare allegramente davanti l'enorme cancello (perché lo sappiamo, da tempo 'Elvis is dead'...). Introdotto dalla voce di Malcom X, il riff granitico di 'Cult of personality' anticipa le liriche politiche consapevoli e disilluse di Glover: 'I know your anger, i know your dreams -I've been everything you wanna be... I'm the cult of personality. Like Mussolini and Kennedy... Neon lights, Nobel Prize -When a mirror speaks, the reflection lies...'. Dopo la memorabile opener, 'I want to know' abbina potenza e orecchiabilità in un riuscito impasto che termina con la chitarra di Reid in evidenza mentre l'hendrixiana 'Middle man' resta impressa per il testo amaro di un uomo a metà, ai margini del contesto sociale U.S.A. di fine Ottanta incarnati dal governo Reagan, glamour, successo a tutti i costi e yuppismo del cazzo. E i poveri, le classi più deboli di neri, ispanici etc. che popolano i ghetti statunitensi? Che si fottano, io devo uscire con la mia nuova giacca Armani a bere un drink Martini... 'Desperate people' parla di quest'illusione sociale, dei media promotori di falsi modelli di vita che dalla tv, come una droga ipnotica vuole farci credere che 'Everything is possibile...' - But nothing is real, aggiungo io e Tom Morello le note rabbiose di questa canzone deve averle ben stampate in testa, sicuro. 'Open letter (to a landlord)' fin dal titolo esplica l'utopico impegno dei LC con una melodia incisiva sostenuta dal basso vitale di Skillings: 'Now you can tear a building down, but you can't erase a memory. These houses may look all run down, but they have a value you can't see...' - Capirà, il 'landlord'? 'Funny vibe' è una mazzata funk/heavy supersonica (con tanto di cameo dei Public Enemy) che basta e avanza per umiliare i Chili Peppers dell'epoca, mentre la vibrante cover di 'Memories can't wait' ristabilisce il legame con la New York dei Talking Heads, e dimostra una volta ancora come i nostri si divertano a rimescolare le carte delle loro variegate influenze. 'Glamour boys' fu il singolo ultramelodico spaccaclassifiche, li fece conoscere e tanto basta. Lo stesso Mick Jagger s'impegnò a produrre (e a suonare l'armonica) nella ballad 'Broken hearts' e nel finale tra Led Zeppelin e Sly Stone di 'Which way to America': da vecchia volpe aveva capito il potenziale dei quattro, che esploderà letteralmente nel 1990 grazie allo strepitoso e innovativo 'Time's up'.
...WHAT'S YOUR FAVORITE COLOUR, BABY?!
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