"Exile In Guyville" ha rivoluzionato il concetto di cantautorato femminile. Ma non solo. Anche di riot-girls, di psichedelia, di rock nel senso più lato del termine. E potrei concludere qua, ho già detto tutto. Liz Phair aveva ventisei anni, e, ahimè, aveva già capito come girava il mondo. E qualcuno potrebbe persino storcere il naso di fronte alla facilità con cui questa ragazzina minuta, fragile, certamente sovversiva, incontestabilmente ribelle, è riuscita a parlare a intervalli alterni di gloria e di scopate, di amori e di suppliche. Ma c'è di più: c'è la musica. "6'1'' " descrive il disco in toto.

"It's cold and rough", urla Phair con voce sporcata, e il suo lavoro è così, cold and rough, freddo e turbolento. Sono fredde le descrizioni della sua (estrema? finta? opinabile?) concezione di sesso (come in "Flower": "everytime I see your face I let all wet between my legs", uno slogan che si sogna pure la più sporca delle Courtney Love), turbolente le preghiere di una peccatrice che ha venduto l'anima al diavolo e aspetta invano una redenzione di cui riconosce essa stessa l'impossibilità immediata di compimento ("I want a boyfriend"-"It's fuck and run/ even when I was seventeen/ fuck and run/ even when I was twelve", nella "ferroviaria" "Fuck and Run"). Quando mette da parte rancori e profilattici, Phair si rivela finalmente per quello che è: una donna (sola) che esorcizza nel sesso (ma ne diventa anche strumento essa stessa, neanche fosse il sesso a esorcizzarsi in lei) le paure e le speranze vanificate da una non sottile turbe esistenziale (Glory, con il solo accompagnamento di chitarra acustica).

"Dance of The Seven Veils" è Phair e i suoi (pochi) limiti (vocali, di certo non interpretativi o compositivi), e "Never Said" un rockettino purosangue, pensato come singolo, neanche troppo brutale. "Canary" e "Gunshy" esplorano le corde più remote ma (chi l'avrebbe mai detto?) così vicine alla nostra della psichedelia, con l'autrice che eppure è perfettamente conscia dei suoi deficit artistici. Solare e pastosa "Mesmerizing", che fa da intro alla parte veramente turbolenta del (dei) disco (i): "Fuck and Run" da un parte (Phair ha in una mano il cuore, nell'altra il pugnale con cui sta per colpirti) e il thriller di "Girls! Girls! Girls!" (voce bassa, chitarre tiratissime) dall'altra. Il progetto che sta dietro a questo doppio album (18 canzoni, 56 minuti) è in realtà molto più ampio. L' "Exile On Main Street" rollingstoniano non è semplicemente l'ispiratore del titolo del più importante manifesto rock femminile dei Novanta, ma il fulcro intorno a cui si impernia il dialogo irrefrenabile tra l'oltraggiosa femminista Phair e il sensuale (e oltraggioso anche lui) Jagger.

Phair diventa così la martire eroina disposta a sacrificare la sua dignità di donna/persona/essere umano pur di non lasciarsi sopraffare dalla spinta soffocante dell'altro sesso. Forse, in questo, si è davvero spinta oltre. Forse davvero è presente una terribile pianificazione a tavolino che la vuole tanto spavalda quanto intima (per non parlare della musica - commerciale, forse, ma all'epoca censurabile senza possibilità di replica), tanto insicura quanto disposta a mettere completamente in gioco i suoi mezzi.

Ascoltate ogni singolo gemito, apprezzate ogni cambio di tono: è un'esperienza scioccante. Che lo vogliate o no, che siate d'accordo o meno, questo è davvero un disco fondamentale. Ascoltatelo, lo dico per voi.

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