Signore. Siete in piena crisi di mezz'età? Tranquille allora, non avrete problemi a fare amicizia con questo disco. Perché alla fine, è un disco che ha i vostri stessi problemi, e nell'amicizia non c'è nulla come esser capiti da qualcuno che vive un'esperienza simile alla nostra, no?

Forse, è proprio la crisi di mezz'età che ora sta ispirando Liz Phair, l'ex autoproclamata "Blowjob queen" che con "Exile In Guyville" nel 1993 aveva scosso musicalmente quel decennio grazie al suo modo irriverente e sfacciato di parlare di sesso e a quella buona dose di sarcasmo e cinismo che in generale pervadeva i suoi testi. Già il precedente disco omonimo di Liz Phair era tutt'altro che un capolavoro: la cantautrice del Connecticut si mostrava come una sexy mamma di trentasei anni che avrebbe fatto carte false pur di diventare la risposta adulta ad Avril Lavigne. Nonostante tutto, l'album era un fluido disco pop-rock che ascoltato senza pretese era anche piuttosto piacevole.

"Somebody's Miracle" invece non è né carne né pesce, presenta una cantautrice dispersa e con poche idee. L'album non soddisferà né il recentemente acquisito pubblico mainstream né riuscirà a riprendersi i fans che l'hanno osannata fino a "Whitechocolatespaceegg". Il risultato è un fallimento totale comunque lo si voglia porre.

La maggior parte delle canzoni sono blande e inutili, mancano del coraggio e dell'acume pungente che contraddistinguevano Liz Phair nei '90. Il singolo "Everything To Me"ad esempio, è un agglomerato di cliché disarmanti: frasi come "Do you really know me at all, would you take the time to catch me if I fall, are you ever gonna be that real to me" sono così scontate e prive di spessore che mi rifiuto di credere siano state scritte con intenzioni serie. Musicalmente fa anche peggio: tipica ballatona pop pseudo-malinconica che sfocia nel ritornello decorato con chitarre plastificate, suscitando un forte senso di déjà-vu e ricordando molto Natalie Imbruglia e l'ultima Sheryl Crow nella loro mediocrità. A questo punto meno male che resta la Phair nella sua fisicità, che più invecchia e più diventa figa. Ancor più indifendibili sono "Lost Tonight" e "Count On My Love". La title-track, invece, sarebbe più digeribile se non fosse così melensa e non le fosse stato attribuito da qualcuno lo scomodo nomignolo di "Fuck and Run pt. 2"; che le sta molto stretto in quanto carente della grinta e della credibilità della "Fuck and Run" di "Exile In Guyville".

Di "Somebody's Miracle" resta poco: ci sono gli energici refrain delle divertenti e spensierate "Stars and Planets" e "Got My Own Thing". C'è "Leap Of Innocence", che apre il disco dignitosamente con un nostalgico soliloquio e che potrebbe richiamare vagamente la "Polyester Bride" di "Whitechocolatespaceegg"; o anche la successiva "Wind And The Mountain", gradevole seppur si estenda troppo senza effettivamente rinnovarsi nei suoi cinque minuti e mezzo. Ma sono canzoni dalla dubbia longevità, che non salvano il disco dal baratro dell'insufficienza né l'ascoltatore da una cocente delusione.

Non so cosa accadrà a Liz Phair dopo "Somebody's Miracle": è ammirevole che tenti di uscire dal suo personaggio dei '90, perché a lei basterebbe pubblicare un "Exile In Guyville versione 2000" per avere uno stuolo di timidi indie-rockers a pendere dalle sue splendide labbra scarlatte. Forse però le basterebbe filtrare questo suo desiderio di distinguersi dalle megalomani ambizioni commerciali - per le quali ha dimostrato di non essere all'altezza - ed unirlo a composizioni più meditate, mature e rappresentative dell'ironia che l'ha sempre caratterizzata.

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