Sfogliando lentamente, nel virtuale, un qualsiasi portfolio fotografico di Brian Kanagaki si prova un senso di quiete. Una tranquillità che è ravvisabile ovunque, dalla profondità di un viottolo di città semi abbandonato, a un qualsiasi antro dimenticato fra le macerie di un’abitazione diroccata fino ad arrivare al dettaglio del quotidiano, casuale. Si è pervasi da una visione del mondo piuttosto dilatata. Un’irrealtà di fondo che fa capolino per via di una sensazione di stasi. Un’armonia dei colori, che siano essi l’alternarsi del bianco e il nero, o l’immersione in tonalità delicate che connotano il tutto in modo etereo. Ecco, quello che Brian imprime su rullino ve lo ficcate per bene nel vostro immaginario e lo accantonate un attimo, giusto il tempo di prendere dalla scrivania il vinile che sulla copertina recita "I.V.". In quanto il nostro non solo è fotografo per passione, ma soprattutto è il chitarrista e vocalist di una band musicale che da un paio di anni è roboante nel fitto panorama californiano. Lui suona nei Loma Prieta. E se il nome non vi dice nulla, è bene che facciate un bel reset delle istantanee alla Ghirri e v’immergiate nella nemesi musicale delle visioni estemporanee degli scatti fotografici.
Un nome nella tragedia. Il riferimento palese è al terremoto omonimo del 1989 che causò innumerevoli morti, feriti e un’ingente quantità di danni. Siamo a San Francisco e loro vengono proprio da lì, area che ribolle di cultura underground, si nutre d’influenze disparate e consegna al mondo con quantità pressoché costante artisti che continuano a mantener viva la fiamma musicale. I Loma Prieta son in giro da un bel po’ di anni, non sono dei novellini quando nel 2012 se ne escono con questo lavoro. Il quarto. L’amicizia di Brian e Val con Tre McCarthy li porta a debuttare per Deathwish e a ricercare l’alchimia in cabina di regia c’è quel piccolo guru di Jack Shirley, onnipresente nella scena californiana. Cala la nebbia su Frisco e il Golden Gate non sembra proprio quel ponte che si staglia sulle cartoline da inviare a parenti e nonne lontane, anzi su di esso emerge quell’ombra del record per cui è tristemente noto. Non vi sto dipingendo un ritratto invitante ? Concordo con voi, ma è che nei Loma Prieta si respira aria malsana. Come un cielo plumbeo che è pronto a scatenare la sua ira, i nostri non si fanno attendere. L’assalto è annichilente.
In fondo si parla di manco 25 minuti, che sarà mai, direte voi. Rapido e indolore. Beh, non è proprio così. Anzi. Le composizioni racchiuse qua dentro sono quanto più di atroce possa partorire, ad ora, la scena screamo/emoviolence. Le raffiche sconfinano caoticamente in altri lidi, attingendo da una punta di grind o dall’incessante ronzio noise che satura completamente l’ambiente, un fastidio che ti entra dentro, ti scombussola. Accade questo anche perché i Loma Prieta partono con l'acceleratore sparato a mille e non accennano minimamente a diminuire la portata delle loro percosse sonore. Frastornato e tramortito arrivi alla “Trilogia IV - V - VI” ricordando come le prime tre presenti quattro anni prima su “Last City” fossero devote a soluzioni d’ampio respiro. Pensiero più sbagliato non si poteva commettere. Le urla si fanno ancor più strazianti, la collera isterica è ulteriormente compressa e il rigurgito si fa più violento. È un punto di non ritorno e la parola chiave diviene una sola : “Untitled”. Un interludio di una manciata di secondi, che fa smetter di sanguinare le nostre orecchie e ci anticipa un nuovo scenario che ci condurrà lentamente alla seconda metà dell’album. Non che le atmosfere cambino drasticamente. Non ci saran ballad o clean vocals a gogo, semplicemente i Loma Prieta attingono dal loro dolore in modo più ragionato, architettando escalation melodiche che s’erano intraviste in apertura e che appartengono da sempre al DNA del gruppo. Si rimane soffocati, il climax non s’attenua, ma le incursioni armoniose danno un equilibrio al dramma individuale rappresentato dai Prieta.
Dopo esser stati travolti da un simil naufragio, c’è solo il conforto di una marcia sospirata e sofferta che ci accompagna fuori dal mondo dei Loma Prieta, e ci riporta alle foto di Brian Kanagaki raccontate in apertura, le quali si fanno sempre più stridenti, lo yin e lo yang, si potrebbe dire. Il capitolo più feroce dei californiani si chiude, senza rammarichi, ciò che doveva graffiare, ha proprio inferto colpi letali. Il fiume di rabbia è stato scardinato e rimane solo da osservare le fotografie pacifiche chiedendosi se un giorno, nel futuro, si possano intravedere musicalmente certe sensazioni, viste le sfumature sonore agli antipodi. Ma per ora va bene così.
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