In principio furono gli Uzeda, storica band noise catanese, prima italiana a firmare con l’etichetta di Steve Albini. Da quel lontano 1992 si è creato un ponte che unisce la città siciliana alla città del vento, Chicago, e alla scena post-hardcore d’oltreoceano. Ponte che oggi percorrono i Long Hair In Three Stages che in quella scena ci stanno benissimo. Il loro terzo disco è frutto di un l’acoro costante, di incontri settimanali per comporre, arrangiare e sistemare i brani registrati tutti in presa diretta (e mi sa che dal vivo spaccano), per parlare di quanto sia difficile comunicare oggi, di quanto oscuro sia questo periodo che stiamo vivendo in cui tutto è esasperato all’eccesso. C’è un sottofondo di rabbia in ogni traccia. Rabbia verso quel senso di impotenza che ci coglie quando siamo messi di fronte allo schifo del mondo e ci sentiamo impotenti.

Trentaquattro minuti che parlano di “caos e della disumanizzazione, di perdita di pietà; del bisogno di stare soli per parlare con sé stessi, per ascoltare musica o per autodistruggersi, e di rabbia, di natura, di malattia, di ansie e illusioni impossibili”, per dirla con le parole di Giuseppe Iaxobaci, autore dei testi. Un progetto ambizioso, volutamente imperfetto, ma pieno di quella immediatezza e rabbia che oggi, sempre più spesso, si sente il bisogno di tirar fuori.

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