"Fade Out" dei Loop: Un Viaggio Psichedelico nell'Infinita Dissolvenza della Musica

Nel vasto paesaggio della scena post-rock britannica degli anni '80, pochi sono riusciti a combinare con tanta maestria la ricca eredità del kraut e del rock psichedelico dei primi anni '70 quanto i Loop. L'album "Fade Out" si presenta come un'odissea sonora attraverso dimensioni psichedeliche, in cui il passato si fonde simbioticamente con il futuro, creando un'esperienza d'ascolto avvolgente e surreale. "Fade Out" emerge come una pietra miliare nella loro discografia, accanto a "A Gilded Eternity", canalizzando un'energia psichedelica che sfiora il puro delirio sensoriale.

Immaginare un quadro sonoro dei Loop equivale a dipingere un mix irresistibile di Stooges del 1969, idel minimalismo sperimentale dei Can del 1970 e lo space-rock degli Hawkwind. Le chitarre, intrise di effetti, si trasformano in strumenti di evocazione, trasmettendo emozioni che vanno oltre la mera percezione uditiva.

L'influenza degli Spacemen 3 si avverte (Sonic Boom disse testualmente all'epoca: "Sì, ci hanno proprio fregato!!! La copertina del loro primo disco, il loro suono, i loro spettacoli dal vivo, praticamente tutto. I loro primi concerti sono stati di supporto a noi. La prima volta che hanno bevuto dell'acido è stato quando glielo abbiamo dato noi. Poi hanno iniziato a chiamarsi Loop. Il primo album era buono, ma non era niente che non avessimo già fatto"), anche se i Loop si immergono nell'abisso dell'esperimento con un coraggio che li colloca in una dimensione a parte. Ma, sinceramente, pur apprezzando i Loop, considero la musica degli Spacemen 3 superiore.

La sperimentazione si rivela la chiave maestra che apre porte di significato in "Fade Out". La band segue le orme del krautrock, spingendo la chitarra ad esplorare territori psichedelici, quasi al punto di esplodere in folli esplosioni di creatività. Questi momenti culminanti, attraverso l'uso sapiente di effetti e manipolazioni sonore, trasformano l'ascolto in un'esperienza quasi mistica.

La ristampa della Rough Trade aggiunge cinque bonus, tra cui le cover del Pop Group e dei Can. La loro versione di "Thief of Fire" dei Pop Group rallenta la frenesia dell'originale fino a un ritmo quasi indolente, esprimendo comunque tutta la voce esasperata di Mark Stewart. "Mother Sky" dei Can è più fedele all'originale, con i suoi 11 minuti di durata e lo stesso ronzio di chitarra e la stessa batteria tumultuosa su cui prospera l'originale.

In conclusione, "Fade Out" si configura a mio avviso come il capolavoro dei Loop (sebbene Julian Cope preferisse "A Gilded Eternity"), un'opera in cui psichedelia e sperimentazione si abbracciano in un vortice inebriante. Un viaggio nell'eternità sonora, dove passato e futuro danzano insieme, dissolvendosi lentamente in un'atmosfera eterea che persiste nel tempo.

Carico i commenti...  con calma