Spengo il lettore. La testa è un frullatore impazzito, potreste infilarmi da un orecchio gli Stooges, i Suicide e i Can con tutta la strumentazione e vedere stillare dall'altro tanto acido lisergico da farvi stare fuori per l'eternità. E' così pesante che in cima al cranio potreste attaccarvi la catena di Maria per legarla al piede di Gesù e condannarlo per sempre alla misera vita terrena.
I responsabili sono questi tre londinesi vestiti di nero, Robert Hampson, Neil Mc Kay e John Wills. Da quella notte del 1990 persa nelle viscere di un locale scavato nelle grotte della mia antica Palepoli, come cielo senza stelle la griglia nera di un soffitto scolorito. Il mantra sonico costrinse molti a sedere accovacciati con la testa tra le ginocchia come a proteggere il nervo acustico dall'interruzione del flusso sanguigno che irrora la corteccia cerebrale. Nel buio pesto riesco a sentire il feedback come provenire dall'inizio dell'era mesozoica e suona così forte da causare la deriva dei continenti. I brani del disco vengono snocciolati come una litania blasfema che usa le pillole colorate al posto dei grani del rosario.
E' come afferrare Iggy Pop per gli attributi e scagliarlo nell'iperspazio in un'orbita ellittica attorno alla Terra, in modo che una volta l'anno possa passare abbastanza vicino alla scuola elementare di Ann Arbor così da permettere ai bambini di cogliere la sua mano disegnare un fugace e malinconico ciao.... ciao.... ciao....
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