L'Orchestre Noir" è il progetto sinfonico di Tony Wakeoford, mente feconda dei Sol Invictus.

Ad oggi la discografia dell'Orchesta Nera si compone di soli due lavori: "Chantos", del 1997, e questo "11", del 1998, che ci pare più ispirato e meglio costruito del suo predecessore.

 

Inutile dirlo, il progetto è il frutto della megalomania di un artista assai povero sia dal punto di vista tecnico che compositivo: quel che di buono Wakeford ha saputo combinare nella sua carriera (e di cose buone ne ha combinate!), sembra funzionare piuttosto in virtù della passione che l'autore inglese mette nel suo lavoro, in virtù del suo genio visionario e della sua capacità di evocare vivide e fascinose atmosfere. L'Orchestre Noir è quindi figlia del talento artistico di Wakeford, e porta con sé pregi e difetti della sua arte: appesantita ed imbolsita dalle limitate doti compositive del menestrello d'Oltre Manica, questa musica riluce del fascino delle immagini tragiche e decadenti che sono il vero marchio di fabbrica dell'artista.

Il progetto ha un suo perché. Del resto pure la musica dei Sol Invictus ha saputo con il tempo annettere in modo crescente elementi neoclassici, emancipandosi così dallo scarno folk degli esordi ancora infestato da tentazioni industriali. Perché allora non esasperare il tutto ed emanciparsi definitivamente dalla musica "rock popolare"? Spurgare il proprio messaggio dalle odiose ultime tracce di modernità? E per questa via raggiungere l'Assoluto?

E così, coadiuvato dal fido Eric Roger (già membro dei Sol Invictus), chiamato a dare una mano in sede di arrangiamento e regitrazione, Wakeford si contorna di un ensemble da camera di tutto rispetto, composto da musicisti rigorosamente di nazionalità francese. La mano di Wakeford si sente, la sua presenza è tuttavia ingombrante, anche se il suo intervento si limita all'esecuzione delle parti di basso acustico e a sporadiche comparsate vocali, che, assieme a quelle dello stesso Roger e dell'angelica Sowina, vanno ad arricchire le strazianti evoluzioni dell'Orchestra Nera.

 

I temi toccati sono quelli tipici dei Sol Invictus: costellato da citazioni di Albert Camus,  Rosa Luxenburg, Ezra Pound, "11" intende tratteggiare i contorni di un'era di pura decadenza, caratterizzata dalla caduta del blocco sovietico e dalla conseguente supremazia dell'impero Americano. "Europe's children had better wake up to the fact that some old demons are still with us and could drag us into an abyss of barbarism. Europa - Unite or Die.": questo è il monito di Wakeford, la rivendicazione di un'identità culturale, di un'appartenenza ad un'Europa divisa da guerre intestine e fratture insanabili, che rischia di svanire schiacciata da dinamiche ormai divenute inarginabili. Da qui l'appello ai "figli d'Europa" al fine di riprendere coscienza dal torpore, unirsi e contrastare l'era delle barbarie che stiamo vivendo. Sull'orlo di un fanatismo integralista, Wakeford architetta un grandioso viaggio musicale che parla il linguaggio tragico, epico, eroico di una musica operistica ammantata da foschi echi apocalittici, ma che non sa alla fin fine rinunciare a certe soluzioni riesumate dalla creatura madre dell'artista, ed in particolare dai suoi album solisti ("La Croix" e "Cupid & Death") in cui già si intravedevano le propensioni sinfoniche che in questa sede trovano completa e definitiva espressione.

 

L'album mantiene la struttura circolare degli album dei Sol Invictus, viene aperto e chiuso rispettivamente da "Eleven-Dawn" e "Eleven-Dusk". La prima sorretta dall'organo, incalzata dal passo marziale delle percussioni e dalle sentenze tonanti dalla voce megafonata di Wakeford; la seconda trascinata dalla chitarra acustica e da intrecci vocali, maschili e femminili, che riprendono il testo della prima. L'orchestra sgangherata di Wakeford marcia inarrestabile alternando momenti forti a passaggi più evocativi, impetuosi crescendo dai toni inquisitori e stasi di mistica psichedelia (si guardi alle parti di arpa e recitato femminile), sempre conservando l'anima torbida e militante del nerboruto cantore. Gli archi incalzano, i fiati sferzano, le percussioni rombano, mentre tenori e soprani duettano in una sorta di "Flauto Magico" del Male. L'inserto di voci campionate, l'ossessivo pestare dei tamburi e la reiterazione concentrica e vorticosa di certe sezioni di archi finiscono per macchiare di "industriale" un'opera che, pur ambendo alla nobiltà della musica classica, alla fin fine porta impresso l'inconfondibile marchio di un artista proveniente dal folk apocalittico e del retroterra industriale.

 

Non ho mai amato in modo particolare questo progetto di Wakeford, penalizzato da una incapacità compositiva palesemente non all'altezza dell'ambizione. Certi passaggi rimangono purtroppo stucchevoli, certe melodie puerili nella loro prevedibilità, eppure, come ogni opera macchiata dall'estro artistico del maestro Wakeford, "11" sa affascinare e coinvolgere in più frangenti, nonché generare nella mente dell'ascoltatore visioni che hanno i contorni dell'Immensità.

 

Only for fans.        

 

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