"Cantami, o musa, di quelli che viaggiarono in lungo e in largo..."
Loreena è tornata. Finalmente, dopo quasi 10 anni di pausa, la rossa ritorna con "An Ancient Muse", settimo album della sua discografia. Vorrei trovare le parole adatte per descriverlo, ma credo che sublime sia l'aggettivo più appropriato. E' grazie alla sua esperienza accumulata durante lunghi viaggi in Medio Oriente e altri luoghi di fantastica ispirazione che hanno reso maturo e ottimo questo lavoro di qualità indescrivibilmente elevata. E non si sta parlando solo di musica, ma anche e soprattutto di storia e origini, scoperta e riflessioni, e ancora, tragedie e leggende... Musica allo stato puro permeata da un alone di introspettiva interiore e di studio dell'uomo. Ogni canzone presente ha un proprio tema centrale, attorno al quale melodie accattivanti dal timbro prevalentemente orientale orbitano ordinatamente, quasi come il movimento perfetto degli astri.
Ma bando alle ciance preliminarie, vorrei analizzare ogni canzone e almeno accennare ciò che si cela dietro di essa. Il viaggio inizia con la ricerca dell'oracolo a Delfi, in Grecia, con "Incantation": l'intro è mozzafiato, e la mistica voce di Loreena si fa sentire fin da subito. Incredibile come questa artista (sì, Artista, con la a maiuscola) riesca a immobilizzarci con così tanto pathos, e a proiettare la nostra mente su lontani e sconfinati paesaggi naturali, alla scoperta del mondo e dei suoi misteri irrisolti. Due minuti e mezzo di brano, una lieve pausa, e poi la cadenzata "The Gates Of Istanbul"; ecco, ora possiamo vedere l'impero ottomano, i suoi sfarzi, e semplici strumenti a corda ben orchestrati abbinati a percussioni tribali e alla sognante voce che assume toni dalla cantilena disarmante fanno di questo brano il primo picco di creatività di tutto l'album. Ma non è questo il meglio, seppur sia ottimo. Se vogliamo parlare del primo vero capolavoro che incontriamo nell'album, allora "Caravanserai" fa al caso nostro: sono due minuti di prologo strumentale, molto soft direi, forse poco facile da seguire, ma poi ci troviamo ad ascoltare con meraviglia una delle perle della McKennitt, nonchè il singolo estratto. Bella, orecchiabile, lunga (infatti le scelte della canadese non sono per niente commerciali), forse un po' malinconica, ma perfetta. Inutile dire che abbiamo dietro le quinte una grande fetta di esperienza, difatti Loreena ha preso spunto dal suo soggiorno con una famiglia nomade di origine mongolica, osservandone e studiandone i collegamente che essa aveva coi Celti. Il titolo è invece riferito alla costruzione che ha visitato in Turchia, appunto il caravanserai, affascinante luogo mercantile di bazaar.
Con "The English Ladye And The Knight" cambiamo luogo e atmosfera: ci spostiamo in occidente, e più precisamente in Inghilterra. Canzone da pelle d'oca, con tanto di cori femminili commoventi, che ricordano molto l'ambiente imponente e solenne, ma intimo, di una cattedrale inglese, mentre la voce centrale, vagamente recitata, ci racconta della triste storia d'amore tra un guerriero e la sua amata, costretti a lasciarsi per le guerre combattute in Palestina, le Crociate. Terminiamo questo bellissimo capitolo per addentrarci ancora di più nella maestosità di "Kecharitomene". Anche se si tratta di un brano strumentale lungo ben più di sei minuti, direi che è l'ennesimo capolavoro sfornato dalla cara canadese. Una cavalcata strumentale veramente degna di nota, non c'è un solo passo falso fatto finora. Luoghi e personaggi a cui si ispira? In Cina, i precursori dei Celti, e il convento di Kecharitomene (che in greco significa "pieno di grazia"), dove Anna Comnena, principessa bizantina, spese i suoi ultimi giorni di vita.
E ora, il punto più alto dell'album. "Penelope's Song". Credo sia la più sentimentale tra tutte. La storia di Ulisse e in particolare della moglie Penelope. Non vorrei snocciolare tutto della canzone, è semplice così com'è, da ascoltare assolutamente e lasciarsi trasportare da questa languida e struggente poesia. Segue poi "Sacred Shabbat", il più breve di tutti i brani, quattro minuti strumentali di aspro e marcato stile orientale ed evocativo. "Beneath A Phrygian Sky" è bello, ma leggermente noioso, poichè lunghissimo e molto leggero con la voce ridotta quasi ad un sussurro. Niente di male, solo un trascurabile calo che non ha niente a che vedere con la perfezione dell'album nella sua interezza. L'ultimo pilastro fondamentale lo troviamo in "Never-Ending Road (Amhràn Duit)". Nessun luogo preciso nè alcun riferimento storico fanno da ispirazione al brano. L'unica cosa che possiamo dire di questo colpo da maestro, anch'esso molto orecchiabile e dal tono dolce ed affabile, è che parla solo dell'amore, il sentimento che deve perdurare in questa strada senza termine di vita e di nascita. E gli ultimi secondi ci lasciano così, come ci avevano presi all'inizio, immersi in una sensazione di stupore, meraviglia, commozione.
"An Ancient Muse" può colpire subito al primo ascolto (beh, ovviamente se apprezzate il genere...), e si sente fin dalle prime note che Loreena McKennitt, con la sua voce che può mutare da forte a triste a zuccherina, quando canta lo fa col cuore. Lavoro ottimo, ribadisco, e per chi apprezza il genere è un Must da avere assolutamente, a costo di pagarlo con la propria vita.
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