"The Visit" può essere considerato come l'album che per la prima volta delinea distintamente le prime influenze che l'àncora celtica di casa McKennitt subisce nella sua graduale evoluzione, dopotutto fisiologica per ogni artista: nonostante rappresenti il prosieguo del suo sound classico ed inconfondibile, nonchè rigorosamente tradizionale, questo lavoretto fresco ed aureo presenta alcune piccole ma importanti novità che nei successivi album consacreranno la Musa al successo mondiale.

Si può indovinare immediatamente che aria si respira in "The Visit" ascoltando l'ottima opener "All Souls Night", ovvero un'atmosfera che si avvicina timidamente ad un timbro tribale ed orientaleggiante pur non eccedendo in veri e propri sfoggi di variegata tappezzeria musicale; la strumentale "Between the Shadows" è un prezioso abbozzo eclettico che definirei ben riuscito, con quel violoncello che disegna melodie magiche e (anche in questo caso) orientali incorniciate da un'arpa e una balalaika. Il volto tradizionale della musica di Loreena lo si può invece trovare facilmente in "Bonny Portmore", velata ma densa, un inno all'amore per la natura dove l'unica protagonista è la voce dell'artista, una voce che ora si fa bassa e tiepida, ora acuta e cristallina in un irresistibile climax che scioglie il cuore al primo ascolto. Ancor più tradizionale (ma non per questo sgradevole) è l'onirica "Courtyard Lullaby", dove la McKennitt ritorna alla cara e vecchia arpa; la sua voce d'ambra e miele sogna, e fa sognare.

Un po' sottotono sono, purtroppo, la strumentale "Tango to Evora", priva di qualsivoglia mordente e di spessore, e "Greensleeves", in cui l'ottima performance strumentale viene trascinata da un timbro vocale della McKennitt tremolante e grave, oserei dire quasi bizzarro e forzato. E che dire dell'immancabile maratona di oltre undici minuti che in questo album troviamo in "The Lady of Shalott"? La leggiadria e il limpido lirismo che fanno di questo brano un vero classico vengono in parte rovinate dall'eccessiva durata, sfortunatamente sfruttata senza modificare di una virgola lo sviluppo dell'intera linea melodica. Non a caso nei concerti il brano viene dimezzato senza troppi complimenti.

Particolarmente riuscita è la cavalcata di "The Old Ways", segnata da un'arcana ed epica malinconia nella parte iniziale, decisamente movimentata e verdeggiante, mentre nella seconda parte l'aria si fa più rarefatta ed avvolgente e, si sa, una cantante come Loreena in queste atmosfere ci sguazza a meraviglia, non per niente il ritornello di questo brano è diventato un must nei concerti.

Ad ogni modo, ciò che fa di quest'album una parte essenziale della genuina discografia della McKennitt è il suo inizio all'eclettismo ed alla ricerca di nuove, intriganti sonorità, tenendo ben presente la lieve mancanza di familiarità con queste "sperimentazioni" (termine da prendere con le pinze); ma come sappiamo più o meno tutti, tale esperimento sarà proprio il passo decisivo verso la realizzazione dei capolavori successivi. Il resto è storia.

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