"Da bambina la mia impressione più vivida della musica invernale è nata dalle canzoni e dagli inni registrati nelle chiese o nelle grandi sale, ricche della propria unica atmosfera e tradizione. In quello spirito, mi sono recata in vari simili luoghi che ho imparato ad apprezzare nei miei viaggi"

E sono proprio la sobrietà, la calma e la tenerezza di intimi attimi di preghiera ad illuminare tiepidamente questo "To Drive the Cold Winter Away" (1987), secondo album della canadese e, ancora una volta, ispirato alla semplicità dei luoghi in cui è stato registrato, come ad esempio la "Church Of Our Lady" in Guelph, oppure in Irlanda, in Ontario od in un monastero benedettino.

Scarsa forma ma tanto contenuto, dunque: difatti questo disco è uno squisito collage di canzoni natalizie e stagionali dal sapore casereccio e tradizionale, privo di quei magistrali arrangiamenti che hanno reso sublimi i capolavori successivi ma anzi spoglio e quasi rarefatto, complice una produzione che, ad un primo impatto, potrebbe sembrare mal gestita e superficiale anche a causa di alcuni rumori di sottofondo.

"Spero che questi rumori non distraggano l'ascoltatore ma piuttosto che vengano accettati come le tracce di paglia su un maglione di lana che tua nonna ti ha fatto per tenere lontano l'inverno"

Ma l'intento della McKennitt è proprio quello di spogliare la produzione dell'album per esaltarne la nudità: non a caso canzoni come "The King" e "Let All that Are to Mirth Inclined" spiccano proprio per gli echi soffusi, i riverberi e i suoni un po' sfocati che rendono l'atmosfera assolutamente consona allo spirito celebrativo e volutamente poco rifinito di questo lavoro. La scarna tradizione è, per così dire, un po' l'asso nella manica della Loreena "pre-eclettismo", e anche in questo caso lo dimostra egregiamente.

Maggior parte dei brani qui contenuti pende esclusivamente dalle labbra, anzi dall'ugola (d'oro, sottinteso) di Loreena: e che appiglio! Episodi quali "Balulalow" e "The Wexford Carol" non lasciano immediatamente il segno, proprio perchè ad ascoltarli si rimane prigionieri di queste ninne nanne angeliche, incantati e soprattutto cullati teneramente dagli slanci vocali della nostra artista che si librano nell'aria come un manto di petali di rose.

Si fanno sentire qua e là delicatissimi sprazzi di folk, come in "The Seasons" e nella già citata "The King", mentre la strumentale "The Stockford Carol" illumina con sonnolento tepore un rustico salotto lambito dal placido scoppiettare di un fuoco nel camino; "Snow", per contro, splende di un candore natalizio zuccherato da festosi flauti.

Non sarà quindi un ascolto facilissimo, non sarà nemmeno il migliore album di Loreena e non godrà di una produzione impeccabile, ma "To Drive the Cold Winter Away" è (e adesso il paragone lo faccio io) come i biscotti fatti dalla nonnina: certo non hanno la stessa qualità e pubblicità della Mulino Bianco, ma diamine, in questi biscotti (e in questo disco) si gusta fino in fondo la vera tradizione e si sente tanto, tanto cuore.

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