Le più belle sorprese arrivano quando non te l'aspetti.

Arrivi un giorno, fresco come una rosa, inconscio di ciò che ti possa capitare e inciampi in certi dischi destinati a distruggerti la giornata, in positivo o in negativo. Può capitare anche con i film, i libri, i tramonti, i contatti umani, il fumo della sigaretta o i sogni che si fanno di notte. Ma non importa. In questa recensione si parla di musica, ovvero l'arte di esprimere emozioni attraverso l'assemblage di sette note destinate che sono chiavi per il paradiso o per gli inferi.  Ma ora veniamo al concetto, al soggetto del mio scritto: "Roghi Dei Libri" dei Lorre, gruppo italianissimo di tre menti contorte. Un debutto che suona come un'esplosione dietro casa, che abbatte l'abitazione del vicino.

Nulla di nuovo, sia chiaro. Ci sono un sacco di gruppi alternative che prendono la strada della new wave, sviscerandola con improvvise impennate di elettronica e voce crepuscolare, ma nella sua brevità (cinque i pezzi), "Roghi Dei Libri" diventa una voragine. Un genere già battuto e una musica ricca di richiami (The Cure, Interpol, i Radiohead di "Kid A"...) diventano improvvisamente una manna dal cielo irrecuperabile. Da cogliere al volo. Perchè, diamine, questo disco è una cazzo di bomba. Una granata puntata contro l'anima. 

Già quando parte l'incipit, il singolo "The Mother Of Lovers", ci si sente trafitti da un inscosciente stato di trip: ritmi che impennano, trascinano. Un'andatura orecchiabile, ma non troppo, che nei suoi tre minuti e mezzo di follia dark pop, di gentile violenza sonora. E pam! Improvvisamente ti ritrovi a canticchiarla rabbrividendo, e quando parte la semplicissima "Lost In A Pill Of Modern Love" (echi di rabbia, un'unica frase ripetuta sullo sfondo dello sferragliare di chitarre e di beats alla "Idioteque"), ti trovi già nell'occhio del ciclone. E quando ti ritrovi sul fondo dell'oceano, l'acqua che entra nei polmoni e ti soffoca, il pezzo si interrompe di botto, lasciando che un'epocale e cupissima "Libertine Sister" tiri fuori le unghie. 

I riff che si rincorrono, le urla soffocate sui tappeti sonori. E l'ascoltatore che entra in perfetta simbiosi con la rabbia distruttiva della musica. Diventa atmosfera, mentre le sigarette nel posacenere disegnano poetiche ellissi grigie nell'aria, fuori tempo, ma non importa.  "We Are Complete Failures" è l'apertura eterea di un altro grande pezzo, che pare dapprima pacato ed avvolgente, per poi colorarsi di abbracci di chitarra quasi post-rock, ed è ancora grande, grandissima musica, prima che una splendida "The Boy In The Grey" chiuda il cerchio: siamo più sul territorio indie pop screziato di elettronica, quando tornano, imponenti, le chitarre. Ancora trascinanti. A raccoglierci dal fondo dell'oceano e spingendoci sul bagnasciuga ad osservare il sole che tramonta. Il cielo che si tinge di rosso. E poi diventa grigio.

Cala il buio. L'ascolto riparte. 

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