Questo non è un disco.

Così i Ninive titolavano il loro primo album, uscito nel quasi lontano 2006.

Questa non è una recensione, titolo io, oggi.

Per volere e per forza. Per volere smettere la veste di quello che ha capito tutto di quello di cui scrive. E per forza di un disco impossibile da recensire. Perché sono tredici tracce, queste, senza genere, senza definizione, senza tabulazione.

Osti è il secondogenito di casa Ninive, duo del legnanese, supportato in gravidanza dai tre Los Paranoias. Una decina di mani in tutto, che fanno sputacchiare ottoni e ancie in quantità, che intrecciano sei, a volte dodici, diciotto, diciannove o venti o più corde di ferro di tutti i tipi e che, in tutti i modi fendono l’aria. Quelle vocali, forse, sono ancora di più. E sanno essere belato e tappezzeria, coro dell’anonima alcolisti e palcoscenico, silenzio e grido di appello all’esistenza. Un disco senza distribuzione di pesi, ma mai materia a caso. Missaggio e arrangiamenti, oscillano dal pietoso al geniale, così come i suoni, gli effetti, i testi e il resto.

Un disco che sa scivolare nella testa, come un carrarmato con i cingoli artigliati, e andarsene via come sa andare via la luna. Ma siccome qualsiasi parto in casa (home recording ndr) non è esente dal rischio di complicazioni, di difetti ce ne sono, e non pochi. Chi difettato, però, viene al mondo, in un mondo pieno di difetti nasce perfetto, nasce calzante. Provate ad aprire quella porta che tenta di contenere il vomito, e sotto tutti i fiori del mondo che prima o poi diventeranno secchi, tutti gli alberi del mondo che prima o poi verranno giù, i bambini nei cimiteri, i segreti che nessuno saprà mai, la morte vera, non ricordata, il primo giorno di inverno, un essere supremo corretto al rhum, e cercate di sentire che musica passa.

È un mondo altro, sono mondi altri, che gridano, urlano, nel migliore dei casi stridono: sono i mondi che stiamo costruendo, quelli che non vedremo mai perché lontani, ma quelli dei cui germi siamo pieni - mentre amiamo, odiamo o anche solo viviamo – i mondi che avranno perso la speranza del tempo, del vento, dell’alternativa, perché l’hanno dimenticata e perché non ne hanno più bisogno. Mondi lasciati sul cruscotto dell’auto parcheggiata sotto il sole di agosto. Non per forza neri, e non per forza brutti.

Non cercate di capirlo, questo disco qui, non è richiesto.

Lo portate addosso.

Basta aprire la porta del disagio: forse ci sono i Ninive a suonare, dentro.

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