6 bore kids = melody – aggression – emotion – energy – intelligence

Sta scritto in qualche dove sul book del disco. Sei ragazzi annoiati: melodia, aggressione, emozione, energia, intelligenza.

Melodia. Guido Meda direbbe: “Rossi c’è, Capirossi c’è… Melodia c’è”. Melodie moderne, permeate un po’ di grawling e molto di più di hip-hop . Nonostante ciò molto efficaci, incisive ed orecchiabili: rimangono abbastanza impresse nella mente, facilmente ricordabili. Ian Watkins si impegna ed è premiato, specie in “…And She Told Me To Leave”. Vivi ringraziamenti alla spalla Jamie Oliver che ogni tanto mette nelle sue corde, e linee, vocali un bel gruzzolo di…

Aggressione… sonora. Chitarre che ti aggrediscono con le loro distorsioni. Suoni attuali e scelte armoniche molto attuali e affatto retrò, ma l’impatto si sente. Ascoltarsi “Kobrakai”, la open-track “Shinobi vs. Dragon Ninja”. “The Handsome Life Of Swing” fa capire che il metallo di un tempo non c’è più. Ormai il metallo è neo-metallo “crossoverato”, abilmente o meno, con incisi di vario stampo.

Emozione. Dare un’occhiata ai testi e si capisce perché. “Tu chiamale se vuoi, emozioni” disse Battisti apparso in sogno ad Ian Watkins e come songwriting della parte lirica (forse sto bestemmiando, le feste e l’alcool fan questo ed altro) credo non siano così distanti. Anzi, tutt’altro che distanti. Energia. Non sarà un comune denominatore di tutto il disco ma, in tutte le sue sfumature, è presente. Talvolta sfumata, talvolta repressa e poi in esplosione. Energia emotiva. Energia viva, vivissima: pare una creatura in continua evoluzione.

Intelligenza. Ce ne vuole tanta. Soprattutto a tenere insieme tutte le idee che ci sono e che, a tratti e per i rockettari più classici, sembrano non essere fatte l’una per l’altra. L’abilità nel crossovering è buona: c’è pure un barlume di pop in qualche ritornello come in “Still Laughing”. L’intelligenza è tutto, ma non bisogna bruciarsela. La Sony aiuterà?

Nel complesso il disco d’esordio dei Profeti Perduti traccia un cerchio entro il quale muoversi senza mai sconfinare, una border line entro cui i Profeti annoiati si sentono a loro agio e riescono a divertirsi. In questo senso l’album è azzeccatissimo, fedele alla linea. Tuttavia mi pare sia anche il lavoro di una band che, nata e cresciuta a pane, crossover e nu-metal, provi a portare cose o suoni nuovi e ridare lustro ad un genere (crossover e/o nu-metal, appunto, che sia) che al tempo, 2001, nonostante fosse attivissimo e prolifico era già morto e sepolto. I suoni possono forse deludere i puristi del rock; anzi a volte non sembrano proprio ben bilanciati e sparisce qualche strumento, specie il basso che a mio avviso (e gusti personali) lavora troppo sulle frequenze basse e si perde. A meno di non avere un impianto hi-fi davvero sopra le righe. Melodie piacevoli praticamente in ogni traccia. Parti di chitarra ben arrangiate anche se, a volta, banali e ripetitive. La parte ritmica passa decisamente inascoltata rispetto alle voci e alle chitarre. Tre stelle sono poche e quattro sarebbero troppe.

In questi ultimi anni (troppi ormai) di vacche magre, ogni album onesto è bollato come eccezionale. Specie quelli di esordio, vuoi per la “novità” o per il fatto che gli artisti cercano di dare tutto subito prima di farsi macerare dalle major e dal “mostro” M-TV, vengono reputati di alto livello proprio perché un briciolo originali ed autentici. Grandi albumi di esordio prima che ci si prostituisca. L’album "The Fake Sound Of Progress" sembra proprio questo, un lavoro che vuol dire al pubblico: “Gente, noi vorremmo suonare questa roba qua. Che vi piaccia o no. Ma ve la sbattiamo lì tutta subito perché tra un paio d’anni saremo spariti, come i The Music, o faremmo del pop come i Good Charlotte.

Visto che darei 3,5 stelline ma non posso… 3. Perché sappiamo già come è andata la storia. Se l’avessi recensito appena uscito avrebbe preso 4. Speriamo che, prima o poi, una vera band, una band come una volta ce la faccia ad emergere dall’underground. La speranza è sempre l’ultima a morire.

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