Ragazzi, riprendiamo il nostro scandaglio per ripescare dalle profondità della storia una delle tante perle dimenticate del panorama psichedelico statunitense di fine '60, Lothar and the Hand People. Formatosi a Denver (Colorado) nel 1965 e operativo a New York dal 1967 al 1969, questo gruppo alquanto originale, ha avuto il merito di essere stato tra i primi ad usare il synth Mooog modular e il theremin. La line-up era costituita da Rusty Ford (basso), Kim King (chitarra, Moog modular, Ampex tape deck), Paul Conly (tastiere, Moog modular), Tom Flye (batteria e percussioni) e John Emelin (voce e theremin), sono stati autori di due LPs molto interessanti, quanto bizzarri, che nel corso degli anni hanno raccolto un piccolo seguito di culto, il loro primo lavoro è il migliore, "Presenting..." del 1968.
Chi è Lothar? Il theremin!
Il nome "Lothar and the Hand People" nasce dall'esigenza di accostare lo strumento al destino musicale del gruppo, per chi non lo conoscesse il theremin è l'antesignano dei moderni strumenti elettronici, inventato nel 1919 dal fisico sovietico Lev Termen, prendendo il nome dal suo inventore. Si tratta in sostanza di due oscillatori che lavorano sulla stessa frequenza, il suo funzionamento si attua col solo movimento delle mani in prossimità delle due antenne poste una verticale, l'altra orizzontale, producendo un sibilo tonicamente fluttuante. Da ricordare i due casi più emblematici del suo uso, il primo nel 1966 dai Beach Boys nel loro capolavoro senza tempo "Good Vibrations", successivamente nel 1969 da Jimmi Page nelle escuzioni dal vivo dell'intermezzo effettistico di "Whole Lotta Love".
Lothar and the Hand People, pionieri nell'uso dell'elettronica, è stato un gruppo tutt'altro che mediocre, il loro arsenale strumentale trascendeva le primordiali radici hippie, per porsi al servizio di un popsych accessibile al pubblico più nelle intenzioni che nei fatti. La lezione di Captain Beefheart e Zappa qui si fa sentire, una decostruzione formale volta a rigenerarsi in una rinnovata forma musicale, dovuta all'uso misurato e "intellettuale" dell'elettronica, senza invasione di campo, ma proporzionale all'economia dei suoni con un'overdose di sapienti arrangiamenti per un risultato formale equilibratissimo. E qui asseriamo che in Inghilterra fino al '68 i Beatles erano un punto di riferimento stilistico irrinunciabile per molti gruppi (dato forse dal loro successo planetario) o meglio, che in quel periodo si suonava anche alla maniera degli illustri scarafaggi e che questa maniera era sparsa un pò ovunque, quindi forse non poteva essere attribuita solo al "gruppo di traino". Ma quando ci si avvale del lume della storia, è inevitabile che i riferimenti vanno e cascano sui più "quotati" ed allora Beatles, ma anche Bonzo Dog Band e Idle Race in sordina, danno spunto. Saggio di eclettismo free-pop scanzonato, in chiave soft-psych ma che esula dalla psichedelia classica sognante, nonostante l'evidente contaminazione del pop britannico sulla struttura di base, costituisce la virtù più peculiare dei loro lavori, ripresi in seguito da altri. Una particolare nota va allo sconosciuto chitarrista Kim King che imprime immancabilmente col marchio dell'originalità ogni brano, un vero artista! L'album si apre con "Machines", la cover di Mort Shuman, riproposta subito magistralmente nel 1966 dai Manfred Mann con Jack Bruce al basso, che nella versione capolavoro alla Beefheart di Lothar and the Hand People, si rivela un vero e proprio marchingegno sonoro/rumoristico appuntito e sgangherato, mosso sapientemente dalle cadenze chitarristiche filtrate al Moog.
Con "This Is It" entra di scena il theremin (che introdurrà poi tutti i brani), il pop-flower cantato da Emelin scorre naturale come la chitarra di King che ci riporta alle derive "goodtime" alla Lovin' Spoonful e Beach Boys. "This May Be Goodbye" dal testo acid-trip ("le stelle non hanno paura di guardare come fanno le lucciole") esplora una direzione diversa a vari livelli di intellettualismo. La satira alla Mothers of Invention vira nell'impostazione armonico/melodica verso "Lucy in the Sky with Diamonds". "That's Another Story", canzonetta alla Ringo Star, conferma l'influenza a largo raggio prodotta dai ragazzi di Liverpool. La natura cervellotica di "Kids Are Little People", una satira di controcultura hippie sui luoghi comuni è alquanto suggestionata dalle riflessioni aspre di Frank Zappa, ma espressa in modo più giocoso. Qui il theremin esprime la sua massima messa a fuoco, con rimmarcazioni del riff e assoli, mettendo in evidenza il gruppo come unità mirabilmente sensibile a incarnare l'innovazione tecnologica. "Ha (Ho)" è un altro brano che rafforza il loro legame coi Beatles e affini. Ma "Sex and Violence" è il capolavoro originale del disco, un mantra ossessivo del titolo reiterato, dove appaiono tutti gli ingredienti formali e testuali dissacratori che rimandano indubbiamente al freak di Zappa e Captain Beefheart, non solo, ma anche al Kim Fowley di "Outrageous". anticipando il tribalismo primitivista punk dei Mark Smith's Fall nel 1978. "Bye Bye Love" è una cover degli Everly Brothers, dal canto love-end manierato e burlonesco, il brano è una strada che porta alla lunga a Gram Parsons. "Milkweed Love" va pesante con l'uso del Moog. "You Won't Be Lovely" combina qualche seme garage con la forza del songwriter che non è poi così lontana dai primi lavori di Arthur Lee. Poi improvvisamente arriva "Woody Woodpecker" dal noto tema del cartone animato di Walter Lantz, che corre veloce alleggerendo l'atmosfera complessiva. "It Comes On Anyhow" è un pezzo di "musica concreta" con la frase reiterata "It Doesn't Matter", verrà in seguito rubata e titolata dai Chemical Brothers nel 1997. Il disco si chiude con la delicata e fragile synth di "Paul, in Love" che prelude ai lavori del loro secondo ed ultimo album "Space Hymn" del 1969.
Per finire si può asserire che Lothar and the Hand People, erano espressione di una cultura con la smania irrefrenabilmente volta verso un futuro che si rivelava oscuro, senza fare terra bruciata delle proprie acquisizioni, ma i sogni stavano per esaurirsi per approdare verso un nichilismo social-individualista autodistruttivo. Reggono musicalmente ancora oggi ad un accurato ascolto non senza sorprendere.
Carico i commenti... con calma