Lou Reed con questo album si chiude in se stesso.

Se Andy Warhol e David Bowie, geni di pop-rock-art, patinavano di commercialità diafana un vuoto esistenziale percepibile dietro la musica e i testi, qui Reed non ha paura di gettare nelle orecchie dello spettatore il proprio malessere, la propria debolezza d'uomo, masochistica ma cristallina.

La sua compagna aveva appena tentato il suicidio, lui era portato da altri ad un glam-rock in cui non si riconosceva, ad un'ambiguità falsamente disinvolta. Qui Reed si spoglia, in atteggiamento poetico, crudele verso se stesso. Racconta il suo complesso di inferiorità nei confronti delle donne, frustrazione sfociante in sentimenti di vendetta, la sua eccessiva emotività ("I am the water-boy"). Sempre con un velo di ambiguità nel dialogo con scambio di ruoli tra Caroline e Jim.

Ora è Caroline a dire che Jim non è un uomo, ora è Jim a "trattar male Carol". Il bisogno d'amore di sensibilità troppo sottili finirà nella distruzione di Sad Song, in cui lo sguardo verso il futuro nasce da una tragica indifferenza verso l'altro/a.

Un disco musicalmente e melodicamente particolare, dalle cadenze pesanti, che alla distanza si ama come un amico sincero.

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