Lou Reed arriva al nuovo millennio dopo una ultratrentennale carriera caratterizzata da alti (molti) e bassi (dovuti soprattutto ai suoi problemi personali e non tanto all'aspetto musicale nudo e crudo) e si può permettere di produrre ancora dischi del calibro di 'Ecstasy', straordinario sia sotto l'aspetto musicale che sotto quello lirico e capace di presentantare al pubblico un artista sempre più maturo e consapevole della sua innata capacità di trasformare le poesie in musica.
Già ascoltando il primo pezzo "Paranoia Key Of E" si capisce l'importanza di questo disco; la canzone è a mio avviso etichettabile da subito come un classico della sua produzione in quanto è forte di una solida sezione ritmica che ricorda vagamente alcune atmosfere di New York; il sound tonitruante di "Mystic Child" ci introduce alla composizione solo apparentemente secondaria di "Mad", fondamentale per l'intera economia del disco.
L'ascolto della title-track è quasi mistico nel suo incedere e nella sua stupefacente essenzialità minimalista e ci mostra un artista che cerca soluzioni decisamente diverse da quelle ascoltate in "Magic and Loss". La traccia successiva, "Modern Dance", è un rincorrersi di variazioni vocali e ritmiche in una struttura facilmente riconoscibile e anticipa una bellissima ballata come "Tatters" impreziosita da una svisata elettrica nel finale che ci rimanda ad alcune soluzioni dello Young elettrico.
Il tappeto sonoro martellante di "Future Farmers of America" è forte di una interpretazione vocale ottima che non si discosta troppo da alcune atmosfere di "Blue Mask", mentre "Turning Time Around" è un'altra stupenda ballata molto riflessiva; a questo punto arrivano due altre splendide canzoni: la prima, "White Prism", è introdotta da uno splendido riff chitarristico e si dipana anch'essa attraverso repentini cambi di ritmo e di interpretazione vocale, mentre la seconda dal titolo "Rock Minuet" è da annoverare senza dubbio tra i classici dell'artista americano in quanto rappresenta decisamente la poetica metropolitana e non solo di quest'ultimo.
"Baton Rouge" è una classica canzone acustica con finale epico che funge da anticipatrice nei confronti della jam acida di "Like a Possum", una soluzione niente male per un artista ormai leggendario che nella sua carriera solista quasi mai si era avvicinato a questo sound, anche se forse l'eccessiva lunghezza potrebbe risultare invisa ad alcuni ascoltatori. Le ultime due canzoni, la romantica "Rouge" e la tiratissima e stratificata "Big Sky" sono decisamente antitetiche nella loro composizione ma quanto mai incastonate in un disco che si basa principalmente sulla compattezza sonora.
Agli appassionati del genere dunque consiglio vivamente l'ascolto di questo stupendo disco, dal momento che può essere senza dubbio considerato come uno dei migliori dischi pubblicati dal 2000 a oggi (a mio avviso il lustro peggiore per la storia del rock).
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