Dopo i grandi successi dei primi anni '70, Lou Reed è sulla cresta dell'onda e nel pieno del successo commerciale. Nel 1974 pubblica "Sally Can't Dance", un album che non regge il confronto con i precedenti, ma che si mantiene su un livello più che dignitoso.

Ad un primo ascolto, il disco appare subito disomogeneo in quanto contiene alcuni pezzi prevalentemente commerciali (ad esempio "Sally Can't Dance", classica hit), che ricordano i tempi di "Transformer" ed altri più impegnati che vanno addirittura a toccare la vicenda biografica dello stesso Lou Reed: "Kill Your Sons" parla infatti del rapporto conflittuale con i genitori e ricorda le sedute di elettroshock subite nell'adolescenza.

I pezzi forti del disco si manifestano solo ad un ascolto più approfondito: "Ennui", che ad un primo ascolto può apparire noiosa, è una piccola perla in cui Reed, ormai trentenne, guarda con una buona dose di disfattismo alla vita ("everything made me feel aware/ Ah, you're getting old/ you're doing things/ you're losing your hair") , "Billy" è un capolavoro acustico di disarmante cinismo, e la già citata "Kill Your Sons". "Baby Face" e "Ride Sally Ride", dai toni smorzati, richiamano quel mondo di vizio e trasgressione tanto caro all'autore e mantengono il disco su un buon livello qualitativo. Unica nota stonata, l'allegra "Animal Language" appare quantomeno fuori luogo se non altro per il ritornello in cui Reed si dà a versi animaleschi francamente imbarazzanti.

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