Ci sono molti modi per fare il musicista.
Di questi alcuni necessitano che sia rispettato il solito stile, il solito copione ed atteggiamento per tutta la carriera. Altri modi permettono il trasformismo e l’evoluzione. Altri ancora sono fusione della continuità e del trasformismo.
Lou Reed ha scelto questa terza via.
Ha voluto fondere trasgressioni rock e maturità melodica, grida di dolore e parole rassicuranti. Ha voluto miscelare l’energia con la classe.
Il risultato è “The Raven”, opera di lunga gestazione, concepita per omaggiare uno degli scrittori più cupi e impenetrabili della letteratura, l’ancor oggi attualissimo E.A. Poe, basandosi sulla rappresentazione teatrale “POEtry”, escursione sulla poetica del gotico Poe.
Questo disco lo troverete in due versioni: una “Limited”, composta da due cd e comprendente i dialoghi dell’opera teatrale, ed una composta da un singolo cd nel quale i dialoghi sono ridottissimi. Io ho preferito la versione extended, che vi consiglio, perché i dialoghi ci sono narrati da ospiti quali Steve Buscemi (che ci regala anche del bel canto in un pezzo d’antologia, “Broadway Song”, swing d’altri tempi), Willem Dafoe e la “ragazza” di Reed, Laurie Anderson (stupido chi non la conosce!).
Egli è conosciuto come compositore di canzoni magre e travolgenti? Bene, ascoltate allora come sviluppa i temi dell’aggressiva “Edgar Allan Poe” oppure della mistica “The Bed”.
Evoluzione. Probabilmente il più alto vertice compositivo da lui raggiunto.
Salvo poi smentirsi per tornare alle sue origini con la terrificante “A Thousand Departed Friends”.
Continuità.
Quando ascolterete l’incedere iniziale di “Guilty”, con Ornette Coleman al sax alto, saranno tremori. Quando assaggerete “Hop Frog”, cantata da David Bowie saranno sussulti. E se vi fermerete un attimo per gustarvi la versione di “Perfect Day”, tappeto di tastiere e voce del controtenore Anthony, saranno brividi. Di gioia ma anche di tristezza.
Perché di autori così, purtroppo, non ce ne sono quasi più.
Spegnete la luce, chiudete la finestra, accomodatevi rilassati sulla poltrona, isolatevi atomicamente dal resto del mondo e lasciate suonare le prime note di questo disco. Che il viaggio abbia inizio. Ritornare alla vita, dopo essere stati “così bene da sentirsi morti” (Heroin) sarà terribilmente deprimente. Ve lo giuro.
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