C’è magia in questo disco.
Ci sono tutti i vostri ricordi più nascosti, tutte le sfaccettature che solo voi conoscete, tutto ciò di cui vi vergognate. Trust culla dolcemente, dona emozioni con melodie sfiorate e sussurrate che ascolto dopo ascolto diventano le vostre verità. I Low hanno superato le pop-song, lo slow-core, l’indie più dimesso sempre a modo loro, ossia con classe. Qui però toccano il fondo della loro anima. Si tingono di colorato misticismo, basterebbe la splendida Tonight per capire la loro assoluta ispirazione, con quegli echi di My Bloody Valentine in mente come non mai, oppure The Lamb, dolcissimo e tremante blues dove gocce di piano diventano acqua da cui dissetarsi, dove l’intensità diventa accecante per poi richiudersi mestamente in un sussurro... e via poi nella giostra di Last Snowstorm of the Year, due minuti e poco più di un valzer che scivola nella specchio di casa nostra. Assolutamente consapevoli delle proprie capacità e di conseguenza liberi da qualsiasi compromesso, il trio del Minnesota (Mimi Parker, Alan Sparhawk, Zak Sally) si dilatano fino alla stasi, fino ad un punto di non ritorno dove tutto è immobile, e qui, nel buio più completo, iniziano a destarsi. Ogni minimo accordo, ogni cambio melodico, ogni corda sfiorata, acquista di conseguenza un valore enorme, stupendoci per la semplice bellezza che tutte le canzoni hanno (come non rimanere folgorati dal crescendo di Little Argument With Myself?). Ogni tanto riemergono momenti pop/folk tipo La La La Song o In The Drugs, piccoli cioccolatini di anima che inebriano e scaldano anche i cuori più voraci, anche se il momento in assoluto più commovente è Shots and Ladders… come trattenere il respiro senza annegare in una tazza di cielo. Descrivere Trust con un genere non ha senso, si può solo lasciarsi andare ad esso.
Riuscireste voi ha descrivere la bellezza che si sprigiona dal sorriso di un bambino?
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