Nel Gran Carnevale del Post-Punk-Revival dei giorni nostri, i Lower hanno evidentemente optato per giocare a fare i Bauhaus, ritagliandosi però un percorso non facile, che li vede rifuggire le soluzioni più ovvie che il genere può offrire. “Seek Warmer Climes” è l’intrigante debutto in formato long plain dell’ennesima giovanissima band proveniente dalla Danimarca.
Forse la loro musica non possiede quell’urgenza che caratterizza la proposta dei “fratellastri” Iceage, ma questi quattro ragazzi hanno davvero le carte in regola per lasciare il segno. Mai come in questo caso contano le singole individualità al fine di inquadrare il suono complessivo. Si parte con gli sconquassi del drumming imprevedibile di Anton Rothstein, per proseguire con lo sferragliare multiforme della chitarra di Simon Formann: uno strenue duello che vede cozzare, in un tripudio di dissonanze e metriche interrotte, le sei corde con la sezione ritmica. A mettere un po’ di ordine intervengono le vigorose pennate di basso ad opera di Kristian Emdal (anche nei Var, insieme ad altri esponenti della scena locale, fra cui Elias Ronnenfelt degli stessi Iceage). A chiudere il quadro: il canto paranoico di Adrian Toubro, che se per timbrica si avvicina al mentore Peter Murphy, di fatto ne evita le pose da bel tenebroso per abbandonarsi a soliloqui da vero alienato. Fra le sue influenze egli indica nomi quali Scott Walker, Leonard Cohen e Cornelis Vreeswijk (cantautore olandese trapiantato in Svezia, la cui popolarità non mi pare abbia mai travalicato i patri confini).
Si parlava di Bauhaus, dunque, e non a caso i primi due brani, “Another Life” e “Daft Persuasion”, pervasi entrambi da un epilettico tribalismo, puzzano di “In the Flat Field” da un miglio di distanza. Ma lungi dal ripercorrere pedissequamente le vie tracciate dai maestri, rispetto ad altre entità similari i Lower suonano più freschi e ricchi di inventiva, se non altro perché la loro proposta brilla di una ricerca che individua nella irrequietudine ritmica/armonica, nella decostruzione strutturale, nella distrazione/alienazione vocale i suoi scopi. Se insomma ci troviamo innanzi a brani relativamente brevi (ben dieci per soli trentaquattro minuti), non è detto che essi si concretizzino nel consunto standard della strofa/ritornello. Non c’è niente di anthemico in “Seek Warmer Climes”, e se ad un primo impatto non verremo colpiti da quel riff di chitarra o da quel ritmo/refrain incalzante, è nei successivi ascolti che andremo ad individuare i meriti e l’impegno di un ensemble che decide di condurci lungo un sentiero più ostico in principio, ma decisamente appagante via via che il cammino prosegue.
Inutile citare un episodio piuttosto che un altro, è nell’insieme che questa opera va inquadrata. E’ tuttavia doveroso menzionare la lunga e tortuosa “Expanding Horizons (Dar Es Salaam)”: nei suoi sette minuti, infatti, essa ha tempo e modo di svilupparsi lungo i binari di una marcia ossessiva dove il lento ma sempre irrequieto battito delle percussioni viene continuamente scosso dalla schizofrenia della chitarra, in lotta continua con le trame vocali di Toubro, che invero prova a dominare il caos ricamando, lungo i solchi di un post-punk invertebrato, l’unico ritornello memorabile. Spogliata dall’aura noir tipica della dark-wave di qualche decade fa, la musica dei Lower getta un ponte concreto fra la fine degli anni settanta e i giorni nostri: lo fa imponendosi come un affascinante affresco raffigurante non solo il degrado psichico di un ventenne degli anni dieci, ma anche le sensazioni di chiunque, giovane o meno giovane, si trovi disorientato e privo di categorie/risorse innanzi ad uno scenario destabilizzante in bilico fra un passato inutile e un futuro incerto e torbido.
A partire dalla bellissima quanto insolita copertina (uno scatto dello stesso Emdal), “Seek Warmer Climes”, anche grazie al supporto ed alla visibilità offerti da una etichetta importante come la Matador, è destinato a richiamare l’attenzione degli appassionati del genere e ad imporsi non solo come l’ennesimo colpaccio messo a segno da parte di quella microscena danese che si sta dimostrando vivissima e densa di promesse, ma anche come una delle uscite più interessanti in ambito rock di questo 2014 che oramai volge al suo termine senza di certo aver cambiato le sorti della storia della musica contemporanea.
Forse la loro musica non possiede quell’urgenza che caratterizza la proposta dei “fratellastri” Iceage, ma questi quattro ragazzi hanno davvero le carte in regola per lasciare il segno. Mai come in questo caso contano le singole individualità al fine di inquadrare il suono complessivo. Si parte con gli sconquassi del drumming imprevedibile di Anton Rothstein, per proseguire con lo sferragliare multiforme della chitarra di Simon Formann: uno strenue duello che vede cozzare, in un tripudio di dissonanze e metriche interrotte, le sei corde con la sezione ritmica. A mettere un po’ di ordine intervengono le vigorose pennate di basso ad opera di Kristian Emdal (anche nei Var, insieme ad altri esponenti della scena locale, fra cui Elias Ronnenfelt degli stessi Iceage). A chiudere il quadro: il canto paranoico di Adrian Toubro, che se per timbrica si avvicina al mentore Peter Murphy, di fatto ne evita le pose da bel tenebroso per abbandonarsi a soliloqui da vero alienato. Fra le sue influenze egli indica nomi quali Scott Walker, Leonard Cohen e Cornelis Vreeswijk (cantautore olandese trapiantato in Svezia, la cui popolarità non mi pare abbia mai travalicato i patri confini).
Si parlava di Bauhaus, dunque, e non a caso i primi due brani, “Another Life” e “Daft Persuasion”, pervasi entrambi da un epilettico tribalismo, puzzano di “In the Flat Field” da un miglio di distanza. Ma lungi dal ripercorrere pedissequamente le vie tracciate dai maestri, rispetto ad altre entità similari i Lower suonano più freschi e ricchi di inventiva, se non altro perché la loro proposta brilla di una ricerca che individua nella irrequietudine ritmica/armonica, nella decostruzione strutturale, nella distrazione/alienazione vocale i suoi scopi. Se insomma ci troviamo innanzi a brani relativamente brevi (ben dieci per soli trentaquattro minuti), non è detto che essi si concretizzino nel consunto standard della strofa/ritornello. Non c’è niente di anthemico in “Seek Warmer Climes”, e se ad un primo impatto non verremo colpiti da quel riff di chitarra o da quel ritmo/refrain incalzante, è nei successivi ascolti che andremo ad individuare i meriti e l’impegno di un ensemble che decide di condurci lungo un sentiero più ostico in principio, ma decisamente appagante via via che il cammino prosegue.
Inutile citare un episodio piuttosto che un altro, è nell’insieme che questa opera va inquadrata. E’ tuttavia doveroso menzionare la lunga e tortuosa “Expanding Horizons (Dar Es Salaam)”: nei suoi sette minuti, infatti, essa ha tempo e modo di svilupparsi lungo i binari di una marcia ossessiva dove il lento ma sempre irrequieto battito delle percussioni viene continuamente scosso dalla schizofrenia della chitarra, in lotta continua con le trame vocali di Toubro, che invero prova a dominare il caos ricamando, lungo i solchi di un post-punk invertebrato, l’unico ritornello memorabile. Spogliata dall’aura noir tipica della dark-wave di qualche decade fa, la musica dei Lower getta un ponte concreto fra la fine degli anni settanta e i giorni nostri: lo fa imponendosi come un affascinante affresco raffigurante non solo il degrado psichico di un ventenne degli anni dieci, ma anche le sensazioni di chiunque, giovane o meno giovane, si trovi disorientato e privo di categorie/risorse innanzi ad uno scenario destabilizzante in bilico fra un passato inutile e un futuro incerto e torbido.
A partire dalla bellissima quanto insolita copertina (uno scatto dello stesso Emdal), “Seek Warmer Climes”, anche grazie al supporto ed alla visibilità offerti da una etichetta importante come la Matador, è destinato a richiamare l’attenzione degli appassionati del genere e ad imporsi non solo come l’ennesimo colpaccio messo a segno da parte di quella microscena danese che si sta dimostrando vivissima e densa di promesse, ma anche come una delle uscite più interessanti in ambito rock di questo 2014 che oramai volge al suo termine senza di certo aver cambiato le sorti della storia della musica contemporanea.
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