Sono un fan dei Lowlife e ho letteralmente consumato album come "Permanent Sleep" e "Diminuendo". Ho sempre trovato la loro musica, per lo meno da quando conosco il gruppo, un ottimo mix di stati d'animo malinconici in varie tonalità, il tutto senza mai cadere nel melenso o nel patetico. Insomma: coi Lowlife è stato amore al primo ascolto!

La band che mai uscì dai patri confini (così ho letto in una loro breve biografia), la band sottovalutata per eccellenza, insomma: la band di “culto”, aveva qualcos'altro da aggiungere dopo i due magnifici capolavori succitati ma ai tempi ignorati dal grande pubblico.

Siamo nel 1989 e dopo la dipartita del chitarrista Everest, sostituito da un tale di nome Hamish Mackintosh, la formazione inizia a dimostrare qualche segno di stanchezza compositiva. Complice, come se non bastasse l’eterna sfortuna che dagli albori ha costantemente accompagnato i nostri, l’alcolismo cronico del leader Craig Lorentson e dissidi interni di varia natura.

Sì, ma il disco? Sento già chi in prima fila chiede lumi a tal riguardo. Il disco, onestamente, non lo trovo brutto e nemmeno noioso. Ci sono delle idee interessanti e, fortunatamente, il marchio “Dream Pop” della premiata ditta scozzese non s’è spento. Bisogna tuttavia ammettere che le canzoni contenute in “Godhead” non riescono a replicare le emozioni dei brani contenuti in quei due gioielli che hanno reso famoso il quartetto tra i cultori più attenti della New Wave.

Il pop sognante alle volte sembra tendere verso derive più “easy” e, attenzione, vengono introdotti alcuni elementi “synth”.

Se proprio non potete fare a meno di possedere la loro breve discografia, procuratevelo senza molti interrogativi.

Se invece da un disco pretendete sempre e comunque freschezza, originalità e quel “quid” irrazionale che ha decretato la fortuna (postuma?) dei Lowlife, beh, rimanete fermi alle prove più convincenti di questo affascinante combo.

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