LTC altro non è che l'acronimo cognomistico del jazz-trio composito da Pietro Lussu (pianoforte), Lorenzo Tucci (batteria) e Pietro Ciancaglini (contrabbasso), equilibrato ed elegante italico ensemble giunto alla propria godibile seconda prova sulla lunga distanza licenziata nelle prime fasi della precedente annualità dalla scandinava Ricky-Tick Records (Five Corners Quintet, dice nulla?).
Ancorchè il titolo del testè presentato lavoro non tenga precisamente fede del fattivo contenuto musicale che ne contraddistingue i tratti musico-somatici, occorre prendere piacevolmente atto della cospicua qualità esecutiva e del quantum i tre propugnino all'interno dei dieci diversificati movimenti che ne costituiscono la agile ma sicura ossatura.
Il lavoro si sviluppa equamente tra piacevoli e ottimamente interpretate riletture e formalmente ineccepibili, perfettamente eseguiti, brani originali; il canovaccio indubbiamente pesca a pieni polpastrelli da quanto già ampiamente noto in ambito swing, groove e simil-bossanova da un quarantennio a questa parte con particolare predilezione per atmosfere vieppiù felpate e di largo respiro: strutturalmente standard nelle proprie jazz-evolutions.
A seconda della personale prospettiva captativa ciò potrebbe apparire godibile virtù e/o sgradevole difetto: la assoluta, ancorchè non totalmente pedissequa, adesione ai citati canoni senza percepibile necessità di importanti variazioni sul tema; non v'è dubbio alcuno che chi cerchi il brivido dello spigolo imprevisto o della soluzione inusitata dovrà rivolgere la propria auricolare attenzione su differenti jazz-lidi; di fronte a un lavoro del genere, come spesso capita, si pone l'ardua quaestio: lavoro scorrevolmente origliabile o sterile ritrattazione di collaudati, adusi standards?
Per quanto mi concerne ho trovato concretamente apprezzabili le garbate intelaiature intrattenitrici sviluppate all'interno di diversi dei tasselli ivi rappresentati a partire dalla piacevolmente colorita apertura "Just Give Me Time", passando per le evoluzioni pian(ofort)istiche intrecciate all'interno del frammento che funge da titolo per l'intero lavoro ("A Different View") per giungere ai corpulenti singulti contrabbassistici insiti nella latinista "Shibuya Crossing": poi ciascun_, as usual, giudichi da sé.
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