La pelle al sole, i capelli, i piedi nudi, il sudore e i profumi dell'estate. Un film totalmente epidermico, esperienziale, da vivere empaticamente. Anche perché la sceneggiatura non è un granché, una storia semplice scritta nemmeno troppo bene, ma uscendo di sala la sensazione è quella di aver vissuto quell'estate del 1983 nella meravigliosa villa e nelle campagne del nord Italia insieme ai due protagonisti Elio e Oliver.

In un lavoro che pecca sicuramente in lunghezza e con qualche passaggio a vuoto, alcuni spunti interessanti ci sono, anche se sembrano giustapposti a freddo come da un filosofo che guarda una storia di semplice pulsione sessuale e ci fa poi le sue fini riflessioni. In questo caso lo sguardo lucido ed esperto è del padre di Elio, che arriva come un deus ex machina a corroborare i sentimenti del figlio e in un certo senso a liberarli.

Ma per il resto, l'opera di Guadagnino è la più normale delle storie d'amore, una cosa molto adolescenziale, istintiva, senza troppe complicazioni. Certo, c'è uno sforzo di superare quella ritrosia che impedisce di vivere i propri istinti serenamente, c'è la necessità di svicolare dal percorso facile e dato per scontato. Ma questo processo non è particolarmente tormentato, vista la caratura culturale della famiglia di Elio e l'ambiente molto liberale, in cui si vive quasi solipsisticamente, tra il giardino e la propria camera, tra i libri e il pianoforte.

Insomma, più che una riflessione o una storia interessante, qui c'è una visione inebriante di un'estate meravigliosa quanto difficile. La bellezza è ovunque: nelle stanze, nella natura, nelle città intorno e nelle campagne. Nei protagonisti e nelle tante ragazzine di paese che compaiono ogni tanto, nella musica e nei colori. È necessario quindi porsi con un certo distacco e separare quegli elementi (anche abbastanza ovvi e banali) che solleticano semplicemente il gusto estetico di ognuno di noi e le costruzioni cinematografiche pregevoli.

E ce ne sono, alcune. Ad esempio nelle inquadrature che disegnano felicemente i sentimenti di Elio e Oliver, allontanandosi, mettendo in evidenza i dettagli, posizionando i due ragazzi nella scena secondo diverse soluzioni e sfruttando appieno i diversi piani di profondità. Guardando i due corpi da lontano, per fissarne la bellezza quasi classica, da statue, e poi avvicinandosi ai loro volti, creando un effetto di intimità proprio grazie ai numerosi campi lunghi, che - per contrasto - rendono più efficaci i primi piani. In questo modo, Guadagnino riesce a restituire l'idea di un'ossessione, dolce e drammatica, terribile perché irrompe nella vita di un ragazzo inesperto.

Dispiace che alla lunga si scada in qualche dialogo fuori luogo e banalissimo. Ma che fa anche capire quanto fosse bello e sensato quel quasi-silenzio della prima parte. Ed è quella la forza del film, che vive proprio nei corpi di Elio e Oliver, nel loro avvicinarsi e allontanarsi ciclicamente, come in una danza di accoppiamento, nel loro sfiorarsi e prendersi con virulenza, nel loro abbandonarsi. Ed è bello che i paletti e gli ostacoli all'amore omosessuale non siano in questo caso esterni, dati dalla società, ma interni, per la paura di legarsi a chi davvero polarizza i propri desideri, molto più facili le storie con le belle ragazze di paese, verso le quali non si prova quasi niente. In questo senso il film non parla davvero di omosessualità, ma di sentimenti in senso generale, e della paura di trasformare in atto le proprie ossessioni più intime e riposte.

Non riesco a definirlo un grande film, ma è sicuramente un'esperienza da fare.

7/10

Carico i commenti...  con calma