Milano, un’epoca non perfettamente definita ma che è sicuramente quella moderna, attuale, contenente però quelle tipiche sfumature anni ’60 care al Visconti, tali da confonderci ed affascinarci al tempo stesso.
Una famiglia, quella dei Recchi, benestante, ricca, potente, il cui status è evidente fin dalle prime inquadrature della casa, una villa costruita negli anni ‘30 nel pieno centro milanese, roccaforte di una gerarchia patriarcale che deve tutta la sua fama ed il suo potere economico e sociale al nonno, che fondò la florida industria tessile.

Il film ci introduce nelle loro vite piano piano, come ovvi osservatori esterni e quasi spiando la curatissima e pretenziosa festa di compleanno in onore del patriarca (Gabriele Ferzetti), uomo vecchio e malato che suo malgrado, date la malattia e l’età avanzata, approfitta di questa occasione di raduno per annunciare la decisione di cedere l’azienda al figlio ed al nipote primogenito Edoardo (l’ottimo Flavio Parenti), non evitando di farlo con una vena polemica (“Occorrono due uomini Recchi per proseguire il lavoro iniziato da uno solo”).

Così fin da subito ci rendiamo conto di quali siano le dinamiche che reggono le relazioni di famiglia, quanta sia l’ipocrisia e l’asservimento dei suoi membri e quanto il bisogno di controllo. In questo sfondo notiamo immediatamente le figure forti dei nonni paterni (il patriarca e la moglie, altrettanto dura e snob); il loro figlio Tancredi (Pippo Delbono) privo di carisma e per questo non particolarmente considerato dal padre; i due figli maschi, uno più giovane ed ambizioso ed il maggiore, Edoardo, cui sarà ceduta parte dell’azienda, delicato e conservatore; la figlia (Alba Rohrwacher), fragile e schiacciata dal peso del Nome, che per questo fuggirà all’estero per trovare se stessa ed un amore non convenzionale; ed infine, solo per ultima, notiamo Emma (Tilda Swinton) la moglie proveniente dalla Russia, di cui ha ormai scordato ogni retaggio, che dietro una facciata di freddo distacco, espresso attraverso una cura maniacale del dettaglio (gli abiti impeccabili, un portamento regale, un atteggiamento garbato di gentilezza ad oltranza, di vitalità trattenuta) nasconde in realtà, anche a se stessa, un temperamento passionale ed assolutamente vitale, che andrà a rompere i cliché e le abitudini più che consolidate del nucleo al quale in fondo in fondo sa di non appartenere, da sempre. E lo farà ovviamente attraverso un incontro inaspettato, che la libererà totalmente, la travolgerà, la farà rinascere e la guarirà dall’assenza di significato e di protagonismo che l’hanno tenuta rinchiusa nella fortezza familiare per decenni.

Ovviamente tutto ha un prezzo, soprattutto la felicità ritrovata, e nemmeno Luca Guadagnino è immune al fascino dell’ormai famoso binomio Eros e Thanatos tanto caro ai classici. Per cui anche noi spettatori veniamo travolti inconsapevoli dagli eventi che passano attraverso le sublimi immagini fotografiche di sesso ed amore alla luce del sole (bellissimi la Swinton e Edoardo Gabbriellini), al buio profondo e senza respiro degli ultimi dieci crudi, intensi e realistici minuti del film, comunque di una bellezza paralizzante, anche grazie alla splendida colonna sonora di John Adams ed alla interpretazione di Maria Paiato, figura sempre in secondo piano, che interpreta Ida, la domestica di fiducia e spettatrice impotente ma estremamente presente nel susseguirsi degli eventi familiari.

Si rimane inebetiti da tanta bellezza nella rappresentazione di Guadagnino.
Inebetiti e ancora assetati, non paghi nonostante lo scorrere inesorabile dei titoli di coda.
Film da vedere, assolutamente.

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